ta dalla corporeità, dalla fantasia e dalla poesia, e l’età della ragione dispiega-
ta, contrassegnata dalla scienza e dal diritto. Ma è proprio l’approccio di tipo
sensibile ed immaginativo al mondo delle rappresentazioni arcaiche che contri-
buisce a dare lo spessore di storicità a quella natura umana e a quelle modifica-
zioni della mente di cui Vico parla nel § 331 (cfr. pp. 93 sgg., ma anche 126
sgg.). Diventa in tal senso filosoficamente comprensibile, e dunque al di là della
sua portata metodologica, il nesso tra filosofia e filologia che, in Vico, si palesa
– secondo la tradizione aristotelica – come ricerca di una scienza del generale e
dell’universale. «La nuova scienza di Vico non è concepibile nel senso genera-
le dell’ermeneutica, tuttavia essa si fonda, come una scienza filologica e inter-
pretativa, su una implicita teoria dell’interpretazione […]; essa si sforza, ‘scien-
tificamente’, di esaminare le testimonianze linguistiche (i miti, la legge delle XII
Tavole, i modi di dire) come fonti della preistoria e della prima storia dell’uma-
nità. In questo concreto contesto, Vico considera la questione della possibilità
del metodo e dei limiti del comprendere storico» (p. 95; ma cfr. anche pp. 110
sgg., dove viene analizzato e discusso il nuovo metodo vichiano dell’
ars critica
e il suo «fondamento ontologico»).
Nell’ambito di questo contesto problematico, l’A., con intelligenza critica,
coglie nella distinzione tra
intendere
e
immaginare
,
ratio e phantasia
, uno dei
possibili accessi a ciò che si potrebbe considerare come una anticipazione
vichiana delle moderne teorie della comprensione. La possibilità di una imme-
diata attività immaginativa che, grazie alla fantasia, può essere rivissuta, a par-
tire dai miti e dalle mentalità sensibili-corporee dei primi popoli, ricondurreb-
be Vico, secondo la ricostruzione di Woidich, nelle prossimità di quella con-
cettualizzazione dell’intendere (
Verstehen
) che sarà poi di Schleiermacher e di
Dilthey. L’analisi e la delucidazione critica dell’idea vichiana di
sapienza poeti-
ca
muove proprio da questa premessa interpretativa: il fare dell’uomo che è
all’origine del mondo civile, non è leggibile solo alla luce del principio gnoseo-
logico del
verum-factum
, ma anche e soprattutto a partire dalla capacità dei
primi uomini di sentire con i sensi e la fantasia. Insomma, fin dall’inizio, l’uo-
mo è un
animal hermeneuticum
(pp. 133 sgg.). Seguendo la traccia interpreta-
tiva di Jürgen Trabant, Woidich osserva giustamente come l’accento della
vichiana
sapienza poetica
cada sull’aggettivo, e non nel senso del poetico come
dichterisch
, ma in quello dello
schöpferisch
, del creativo. «Il discorso vichiano
sulla sapienza ‘poetica’, come anche sulla natura ‘poetica’ degli uomini primi-
tivi, si richiama non soltanto al pensiero poetico-fantastico, non astratto-razio-
nale, di questi e alla loro lingua ‘poetica’ ricca di metafore, piuttosto la dizio-
ne ‘poetico’ rinvia alla già accennata potenza creativa del primi uomini.
Attraverso la poesia, nel senso di una originaria
Poiesis
, gli uomini creano il
RECENSIONI
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