trame del tutto deliranti. Il passaggio petroniano risulta culturalmente interes-
sante per stabilire rango e ruolo degli ‘omeristi’ nel I sec. d. C., ma viene ricor-
dato da Ferreri solo indirettamente, a proposito dell’abbigliamento dei rapso-
di, attraverso la testimonianza di Gisbert Cuperus nell’
Apotheosis vel
Consecratio Homeri
del 1683, che rappresenta un assai precoce segnalazione
del
codex Trauguriensis
.
Spicca in questo primo capitolo la discussione intorno alla paternità del-
l’
Inno ad Apollo
: Omero o Cineto? Lo scolio a
Nemea
II, 1 c, III, p. 29,9-12
Drachmann ci informa che «dei poemi attribuiti ad Omero il rapsodo
toèn ei\v
}Apoéllwna gegrafwèv u$mnon a\nateéqeiken au\t§
%
», cioè stese per iscritto l’inno
(diversamente altri ms. e l’
editio princeps
«compose quello scritto per Apollo»:
precisa Filippo Cassola nella sua edizione degli
Inni omerici
[Milano, Monda-
dori, Fondazione Valla, 1975, p. 101, nota 1] che «non si tratta di un’altra ver-
sione dei fatti, ma di una variante; senza dubbio deteriore»). Per parte sua
Tucidide, III, 104 cita i vv. 146-50 e 165-72 dell’inno (in tale ultimo verso il
poeta-autore si dichiara
tufloèv a\nhér, oi\kei% deè
Cié§ e"ni paipaloeéss+
); e poiché
alla seconda citazione lo storico premette il chiarimento che «avendo cantato
il coro delle fanciulle, [Omero] concludeva l’
e"painov
con questi versi [ap-
punto i vv. 165-72], in cui fa cenno anche di sé», Ruhnken sostenne nel 1781
che un originario inno delio si sarebbe concluso al v. 165, e con il verso 176
avesse invece inizio una successiva e diversa sezione pitica (cfr. ancora Cassola,
pp. 98-100). Ferreri segue il percorso della vicenda a partire da Domizio
Calderini, che negava la paternità omerica dell’inno, attribuendolo però ad un
altro Omero, il grammatico Omero Sellio; poi Poliziano, che conosce la dub-
bia paternità degli inni ma non prende posizione; segue Fulvio Orsini che nega
l’omericità degli inni, e – in tre postille marginali apposte al secondo volume
di un esemplare dell’Omero aldino del 1517 (Biblioteca Vaticana
Ald.
III 63)
– chiosando l’incipit, il v. 63 e il v. 172 dell’inno ad Apollo, solleva anche que-
stioni di ordine linguistico diacronico. Il
De patria Homeri
di Leone Allacci,
nativo di Chio nel 1587, «alla malafede di Ateneo e dello scolio alla
Nemea
[…] si limita ad opporre sdegnosamente Tucidide».
Nel capitolo II, Ferreri studia con pari impegno documentale la fortuna
umanistica e rinascimentale dell’apologo sulla ‘redazione pisistatica’ dei
poemi: da Petrarca all’epistola dedicatoria della
Raccolta aragonese
fino ad
Aulo Giano Parrasio, cercando di individuare per ciascuno dei moderni la
fonte antica, o piuttosto il contaminato sistema di fonti antiche, da cui la noti-
zia proviene. E qui un rinvio al celebre scolio per la collocazione pisistratica
della
Dolonia
non sarebbe forse dovuto mancare, laddove lo scoliaste alessan-
drino scriveva: «Omero, dicono, dispose questa rapsodia in maniera peculiare
RECENSIONI
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