(
i\diéç tetaécqai
), e essa non faceva parte dell’Iliade, e fu Pisistrato a disporla nel
poema», che – come si vede – è cosa ben diversa dall’asserire la non-paternità
omerica del canto K, anzi se ne sottolinea l’autenticità, ma in quanto inserto
estraneo rispetto al corpo del poema.
Assai utile è il rilievo di Ferreri sul convergere, a partire da Eustazio ma poi
via via rinnovato alla luce di prospettive editoriali sempre più complesse, della
discussione sull’etimo di
r|ay§diéa
con quella sulla redazione pisistratica.
Ancora un elemento di attenzione nel secondo capitolo è offerto dall’analisi sui
differenti ruoli che Solone, Licurgo, Pisistrato e Ipparco avrebbero avuto nel
diffondere i poemi omerici e nel decretarne la recitazione ‘ordinata’.
Apparentemente sulle divergenze tra le fonti antiche non tutti gli omeristi rina-
scimentali si sono adeguatamente soffermati: il dialogo pseudoplatonico
Ipparco
(228bc) – con Eliano VIII, 2 – attribuisce a Ipparco il merito di aver portato i
poemi ad Atene imponendone la recitazione alle Panatenee; la recitazione
obbligata sarebbe stata invece decretata da Solone, secondo Diogene Laerzio I,
57; sempre Eliano – in un altro passo della
Varia Historia
XIII, 14 – attribuisce
a Licurgo il merito di aver portato i poemi ad Atene, e a Pisistrato quella della
redazione ordinata. Tra i tentativi di conciliazione delle fonti spicca quello di
Fabricius, che muove da uno scolio a Dionisio Trace (F
ERRERI
, p. 95).
Il secondo capitolo si chiude nel nome di Isaac Casaubon e di Daniel
Heinsius. Riguardo al primo è da sottolineare la cautela con la quale egli acco-
glieva la notizia di Giuseppe Flavio relativa ad un Omero tramandato per
lungo tempo a memoria, prima di essere messo per iscritto. La prudenza filo-
logica venne intesa da Gilles Ménage come incondizionata adesione di
Casaubon alla tesi ‘oralistica’ e suscitò l’ironia di Wolf, secondo il quale
Ménage interpretava «mentem Casauboni, non verba». Di certo Casaubon
non nutriva grandi speranze di poter recuperare la
vera lectio
di Omero, ma
uno scetticismo disarmante è manifestato da Heinsius, il quale in una pagina
assai celebre del 1611 (e ricordata anche da Cesarotti) arriva a dire che tali e
tanti sono stati gli indebiti interventi sul testo omerico
ut mihi emendatissima
Homeri editio Virgilianum poema esse videatur
. E sulla stessa linea, ancora nel
1639, Heinsius – riferendosi a Timone di Fliunte ed all’aneddoto in Diogene
Laerzio IX, 113 – scrive: «Unde quidam, de Homericis editionibus interroga-
tus, eam omnium emendatissimam respondit, quae aut non aut minime emen-
data esset. Nam Homerum legere, quam criticos malebat». E giustamente,
come già aveva fatto Sebastiano Timpanaro nella benemerita
Genesi del meto-
do del Lachmann
, queste affermazioni di Heinsius vengono collocate in appro-
priata luce se poste nella nuova linea ‘filologica’ che prendeva piede a partire
dai lavori sul Nuovo Testamento (F
ERRERI
, pp. 106-112).
RECENSIONI
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