Ecco intanto il testo:
La tavola mostra i soli principi degli alfabeti, e giace dirimpetto alla statova
d’Omero: perché le lingue e i caratteri volgari, come tutte le cose nate, o fatte,
s’andaron formando a poco a poco: di che è quella greca tradizione che, delle
lettere greche, furon le prime ritrovate da Palamede nel tempo della guerra
Troiana; altre da Simonide poeta, il qual si racconta essere stato l’autore
dell’
Arte della memoria
; e finalmente altre da Aristarco, che fu il critico ripur-
gatore de’ poemi d’Omero; ed è necessario che non si fussero formate tutte a’
tempi d’Omero, perché si dimostra per tutta l’opera che Omero non lasciò
scritti i suoi poemi, e che forse da Aristarco incominciaron a scriversi … (ed.
Cristofolini, pp. 41-42 dell’originale).
Come anche Nicolini avvertiva, questo paragrafo proviene dall’
Idea dell’ope-
ra
, anzi costituisce una redazione ampliata del § 23 (sempre per comodità rife-
rendoci alla paragrafatura Nicolini) nell’
Idea dell’opera
(cfr. ed. Battistini, p.
431). Non solo è indebito riconnettere queste parole del 1730 con quelle che nel
1744 figurano nel terzo libro della
Scienza nuova
, ma a ben vedere la distinzio-
ne fra tre distinti sistemi alfabetici greci (di Palamede, di Simonide, di Aristarco)
induce a pensare che sebbene «Omero non lasciò scritti i suoi poemi», la scrit-
tura esistesse. Ne consegue, e questo lo vede bene Ferreri a p. 191, che «la qual
tradizione toglie affatto il credito all’altra di Aristarco ch’ a’ tempi de’
Pisistratidi avesse fatto cotal ripurga» è una smentita solo per quanto riguarda
l’anacronistico coinvolgimento di Aristarco nella redazione pisitratica (cfr. le
note di Battistini, vol. II, pp. 1700-1701) e che il cosiddetto § 1115 sia stato
espunto, dall’autore, dall’
Idea dell’opera
, proprio perché anacronistico, non per
i riferimenti alle diverse tipologie di scritture.
Altresì, che vi sia fra il 1730 ed il 1744 un progressivo affinarsi del pensie-
ro vichiano intorno ad Omero lo avevo mostrato nel 2001 (cfr. R. R
UGGIERO
,
La «volgar tradizione». Prove di critica testuale in Giambattista Vico
, Lecce,
2001, cap. IV), quando stampavo il § 873 Nicolini (ossia l’incipit della secon-
da sezione nel libro III) additando le principali varianti fra la
Sn
30 e la
Sn
44.
Svolgevo tale esercizio perché Gennaro Perrotta, che nel 1939 aveva dedicato
acute pagine all’Omero vichiano, aveva compiuto invece il percorso inverso
rispetto a quello di Nicolini, comprimendo tutto il vichismo omerico sul punto
di partenza del 1730. Il risultato di quell’indagine era stato di ridimensionare
assolutamente, almeno per quello che attiene a Vico, sia il ruolo dell’oralità dei
poemi sia la denegata esistenza dell’autore, importando al filosofo napoletano,
in primo luogo, di negare la «sapienza riposta» (ossia filosofico-razionale) di
Omero, per riservargli un primato nell’ambito della sapienza «eroica». Per
RECENSIONI
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