zione e si caratterizza per un marcato autobiografismo, la seconda scandaglia
le profondità, le potenzialità e i limiti del pensiero post-coloniale. La terza
sezione, tornando in parte sugli argomenti trattati nella prima, consiste in una
riflessione sulla storia, sul suo metodo e sui compiti che le sono propri. La
quarta ed ultima affronta questioni legate alla teoria, alla prassi politica e
all’etica, accorpando questi temi a considerazioni storico-psicologiche, quali la
relazione tra trauma, memoria e storia.
La storia, più di ogni altra cosa, è il volto di noi che viviamo ‘ora’. Volgiamo i
nostri occhi al passato e ritorniamoci con la memoria, usandolo come chiave
interpretativa per risolvere i problemi che incontriamo o i dolori e i desideri
che viviamo nel presente. Così la voce che da esso si innalza, giungendoci
all’orecchio ci orienta nel nostro cammino verso il futuro. Tuttavia, oggi non
possiamo far a meno di riconoscere di essere in una situazione stranamente
paradossale nei confronti della storia. Anche se volgendoci al passato riuscia-
mo a sentirne la voce, per ottenere un tale risultato è necessario un metodo
particolare. Il passato di per sé non ci racconta nulla. Tuttavia viene da chie-
dersi se noi, oggi, non siamo posti in una condizione di estrema difficoltà per
quanto riguarda la scoperta e il possesso di un metodo tanto essenziale.
Da un simile
incipit
parte Tadao Uemura per ripercorrere le nostre man-
canze cognitive, la nostra incapacità presente di riconoscere e di riconoscerci
nel passato e individuarne le cause. A suo parere, questi limiti vanno cercati
nell’ossessivo perfezionamento di un metodo assolutizzato, ormai slegato da
ogni finalità estrinseca cui dovrebbe fare capo. Davanti a un simile fallimento,
siamo chiamati a riconsiderare alla radice la Storia e il metodo di approccio
alla realtà che le è proprio.
È questa una necessità intellettuale che, secondo l’A., è già stata evocata nel
dibattito contemporaneo. Il XIX secolo ci ha lasciato traccia del medesimo
interrogarsi, ad esempio nella seconda delle
Considerazioni inattuali
di
Nietzsche,
Sull’utilità e il danno della storia per la vita
. Rileggendo la storia del-
l’ottocento tedesco, Uemura mostra il trasformarsi della cultura storica da
strumento per la vita, fonte di ideali e modello di azione, a oggetto di studio
inerte. È nel fallimento politico, in questo caso in quello dei moti del 1848, che
coglie il passaggio dalla vitalità all’arido solipsismo. Il venire in auge del
Positivismo segna così il trapasso della storia da ‘riferimento per la vita’ a sape-
re inteso come oggetto fenomenico della scienza.
Oggi però noi non viviamo più, secondo Uemura, la condizione di ‘ecces-
so storico’ denunciata da Nietzsche. I principi rivoluzionari illuministi, cristal-
lizatisi nell’imperante capitalismo, ci hanno lasciato, grazie agli sviluppi delle
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