con il pensiero di suoi connazionali, ampliando il senso di questi. Compaiono
una lista di opere e nomi, alcuni dei quali ritornano a tratti nel resto del volu-
me, quali ad esempio, quello dell’altro grande vichiano giapponese, tradutto-
re negli anni settanta della
Scienza nuova
, Shimizu Ikutarô.
Per quanto riguarda G. C. Spivak, che insieme a Said è al centro del volu-
me, ma che non compare nel primo saggio, nei suoi lavori tradotti in giappo-
nese Uemura vede il superamento dello stesso pensiero post-coloniale nella
consapevolezza dell’avvenuto passaggio a un paradigma politico-ideologico
transnazionale. Si muove tra l’articolo
Può il subalterno parlare
e il volume del
1999,
Critica della ragione post-coloniale
, tradotto di recente anche in italiano,
valutando l’importanza di alcune riflessioni in essi contenute. Al contempo,
rimane dubbioso davanti a molti punti del pensiero della studiosa indiana,
specialmente per quanto riguarda la rilettura di Marx e della categorizzazione
dei sistemi produttivi. Alla fine evita di esprimere un giudizio complessivo. Il
tema che più sembra cogliere la sua attenzione è comunque quello delle con-
seguenze della globalizzazione sul mondo in cui viviamo. Il problema ritorna
più avanti nell’interrogazione sul modificarsi del rapporto tra storia e memo-
ria dal modello dell’identità nazionale ai nostri giorni. Uemura ripubblica qui
l’intervento preparato per un simposio tenutosi all’Università delle lingue stra-
niere di Tokyo, fondato su tre punti chiave da esaminare: ‘Narrazione storica
come tecnica della memoria’, ‘Stato nazionale e memoria condivisa’ e ‘Memo-
rie di guerra’. Salta agli occhi la lettura ragionata di storici francesi quali Revel
e Nora, l’ultimo citato espressamente insieme al progetto da lui condotto,
Lieux de la memoire
. Sempre nel campo della narrazione storica, i confronti
dell’A. non si limitano a un dialogo con studiosi europei. Ad esempio, in un
altro scritto dal titolo
Narrazione storica e etica
l’interlocutore principale
diventa il giapponese Tetsuya Takahashi, famoso anche in occidente per il suo
lavoro sul significato politico, morale e legale delle visite di stato a Yasukuni,
il santuario dove sono sepolti criminali di guerra giapponesi.
Vale la pena infine di ricordare l’ultimo capitolo, nel quale Uemura recu-
pera, tramite la lettura dell’opera di Keitoku Okamoto e di Kenichi Tanigawa,
i caratteri di una ‘insularità’ nel contesto giapponese, quella degli abitanti di
Okinawa. Riporta il dibattito intorno a concetti quali quello di comunità, con-
vivenza e autodeterminazione. È il suggello di questa serie di saggi dei quali
non si dà unità evidente. Uno sguardo che, sprofondandosi nella dimensione
locale, riconosce infine la presenza delle categorie elaborate e discusse nelle
pagine precedenti.
F
RANCESCO
C
AMPAGNOLA
RECENSIONI
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