lelo possibile?», pp. 61-64), si sofferma
ad esaminare il rapporto fra lo studioso
tedesco ed il filosofo napoletano, già stu-
diato in precedenza – ma con diversa
prospettiva – da Italo M. Buttafarano
[
Vico e Morhof: considerazioni e congettu-
re
, in questo «Bollettino» IX (1979), pp.
89-110].
L’A. spiega che Vico, pur conoscen-
do di Morhof lo scritto sulla lingua e la
poesia tedesche (
Unterricht von den
Teutschen Sprache und Poesie
, 2 voll.,
Lubecca, 1682), «non ebbe tra le mani il
Polyhistor
» (p. 61) ed in generale assun-
se «nei confronti dell’enciclopedismo
seicentesco» un «atteggiamento per nulla
partecipativo» (p. 63). Tuttavia fra i due
l’A. segnala un’analogia biografica –
indicatrice, a suo avviso, di un loro «rap-
porto ‘ideale’ stretto» – ed una differen-
za iconografica. Per quanto concerne la
prima, l’A. osserva che entrambi esordi-
rono nell’insegnamento universitario «su
di una cattedra di Retorica, od Eloquen-
za» (
ibid
.), seppure con esiti successivi
diversi: per le note vicende concorsuali,
Vico non passò mai – come era nei suoi
auspici – a una cattedra di Diritto;
Morhof, invece – come abbiamo visto –,
ottenne a Kiel una cattedra di Storia.
Passando alle immagini che si tramanda-
no del polistorico tedesco e del pensato-
re napoletano, l’A. scrive che «nel ritrat-
to di Christian Fritsch, riportato per inci-
sione nella prima pagina del
Polyhistor
,
vediamo un personaggio piuttosto robu-
sto, che posa per il ritrattista in modo
tranquillo. Ben diversa l’immagine di
Vico tramandataci dalla tradizione, palli-
do, emaciato, in perenne lotta contro
l’incomprensione, le sventure familiari e
le congiunture economicamente sfavore-
voli» (p. 64).
[R. D.]
17. M
ARTONE
Arturo,
La mente inge-
gnosa di Vico
, in
La mente. Tradizioni filo-
sofiche, prospettive scientifiche, paradigmi
contemporanei
, a cura di S. Gensini-A. Rai-
none, Roma, Carocci, 2008, pp. 87-106.
Dalla prospettiva di un’ideale storia
della filosofia della mente, l’A. indica nel
nesso tra analisi della mente e genesi del
linguaggio il maggiore contributo di Vico
al pensiero moderno, maturato dopo un
lungo processo che troverà una compiuta
sistemazione soltanto nella definitiva
redazione della
Scienza nuova
del 1744,
laddove il filosofo napoletano assegna al
linguaggio la mediazione possibile tra il
mentale e il corporeo, «la favella essendo
come posta in mezzo alla mente e al
corpo» (capov. 1045). Un percorso alla
fine del quale: «1. Si regolano i conti con
il cartesianesimo; 2. Si trova l’alternativa
ad esso nella
ragione storica
; 3. Non si
compromette il quadro della religione
cattolica con l’affermare una partecipa-
zione divina alla mente umana» (p. 99).
L’A. ricorda come, sebbene sin dal
De
ratione
Vico avesse sottolineato che ‘gli
ingegni non formano le lingue ma sono
formati da essi’, la connessione tra idee e
lingue assuma il carattere di novità decisi-
va con la scoperta della corporeità del lin-
guaggio rivendicata nella degnità LXIII,
dove si stabilisce il principio universale
dell’etimologia di tutte le lingue «nelle
qual’i vocaboli sono trasportati da’ corpi
e dalle proprietà de’ corpi a significare le
cose della mente e dell’animo». L’A.
mette in luce come se da un lato nel
De
ratione
e nel
De antiquissima
, sulla scorta
identità semantica tra
esprit
e ingegno
presente nel lessico cartesiano, Vico con-
trappone al solipsismo della ‘sottile’
mente analitica dei cartesiani l’‘acuta’ ca-
pacità conoscitiva della facoltà ingegnosa,
nel capolavoro del filosofo napoletano si
assiste ad una «svolta nel senso della
AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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