Wilhem von Humboldt; grazie a loro,
infatti, il linguaggio assume il carattere di
originario elemento fondativo dell’essere,
del conoscere e dell’agire umano, mentre
all’indagine empirica delle lingue è affi-
dato il compito di gettare luce sui legami
tra lingua e identità di un popolo.
[R. M.]
21. S
AID
Edward W.,
Vico e la discipli-
na dei corpi e dei testi
, in I
D
.,
Nel segno
dell’esilio. Riflessioni, letture e altri saggi
,
a cura di M. Guareschi e F. Rahola, tr. it.
Milano, Feltrinelli, 2008, pp. 121-132.
In questo breve ma denso saggio l’A.
individua nel corpo e nell’esperienza sen-
sibile, che vi si connette, quel luogo in
cui, nella prospettiva vichiana, si ritrova
l’origine di ogni significato e produzione
testuale.
Così come l’uomo guadagna la «pro-
pria storia» e la «propria dimensione so-
ciale tenendo a freno le passioni del cor-
po», così i «prodotti dell’intelletto relati-
vamente astratti, come il significato» (p.
122) compaiono quando le vivaci im-
pressioni corporee si traducono e disci-
plinano in parole; sicché, secondo questa
suggestiva lettura, il metodo «etimologi-
co di Vico» diventa «una forma di ‘retro-
significazione’ che riconduce i significati
a quei corpi da cui originariamente pro-
vengono» (p. 123). Ritornare al corpo
vuol dire in Vico – secondo l’A. – rianda-
re alle fonti, rinvenire il reperto che
mostra il processo di significazione nel
suo farsi; ricondurre i testi, che quei si-
gnificati contengono, «alle vicende uma-
ne da cui sono emersi» (p. 125). Ma è
anche una ricostruzione storico-etimolo-
gica che tende a smascherare ogni prete-
so rigore esclusivamente razionale ascrit-
to alle idee, ricordando come un tempo
esse «siano state congetture appassionate
scaturite da altrettante risposte all’esi-
stenza fisica» (p. 126). Dunque, questo
richiamo alla corporeità, alla fisicità, alla
sensibilità – forte del riferimento alla
«massima aristotelica
Nihil est in intellec-
tu quin prius fuerit in sensu
» (p. 128) – è
un ulteriore colpo inferto a quella ‘boria
dei dotti’ che guarda ai testi con l’occhio
strabico di chi si compiace della loro coe-
sione interna, escludendo dall’angusto
hortus conclusus
della purezza logica le
ragioni generative dei testi, che affonda-
no le loro diramanti radici nella concre-
tezza di situazioni segnate dalla corporei-
tà. «Così l’accademia – può scrivere l’A.,
con tono di sfida a vecchie, nuove e palu-
date astrattezze – è rispedita a farsi
un’istruzione nelle capanne e nelle fore-
ste» (p. 127).
Ma nell’uomo l’esperienza sensibile
non è mai esclusiva; ad essa si aggiunge
sempre «qualcosa in più»: così i fulmini e
i tuoni diventano «cenni di Giove» e i
meri dati della percezione si trasformano
in un segno gravido di conseguenze.
Questo è il modo con cui Vico descrive
«la creazione di Giove da parte dell’uo-
mo»: una creazione che ha come suo pre-
supposto necessario, da un lato, l’«imme-
diata impressione sensibile da cui deriva»
(p. 129), dall’altro, la presa di distanza da
essa ed il suo oltrepassamento. Tali pro-
cessi creativi non sono però unidireziona-
li, ma sono stretti nella morsa virtuosa
della reciprocità, che dà il senso del limi-
te, della relazionalità e della storicità dei
‘creatori’ e delle loro creazioni. «Dopo
che i primi uomini hanno creato Giove –
scrive lapidario l’A. – né loro né Giove
possono semplicemente
essere
. Giove è
vincolato a loro tanto quanto essi lo sono
a lui». Allo stesso modo, «un testo è
immerso in una cultura come lo è il suo
lettore» (p. 131). L’A. può quindi conclu-
dere che «per Vico il mondo degli uomi-
AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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