ENRICONUZZO
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religioni, ebraica, cristiana, mussulmana; la poesia, il linguaggio, anzi la
molteplicità e il variare delle lingue, il diritto, e poi le scienze della
natura e la medicina»
72
.
Ma era una posizione che assai singolarmente rischiava infine di ap-
piattire in qualche modo sia il Seicento che il Settecento: almeno nel
senso che del primo veniva sottaciuto tutto il ‘resto’ non riconducibile
al grande dibattito epistemologico, e invece terreno prediletto delle
letture e battaglie vichiane (il Seicento dei dibattiti eruditi, teologici,
giuridici, etc., attorno ai tempi ‘favolosi’ dell’umanità, a storia sacra e
profana, a determinati saperi e temi di ‘storia naturale’, a teoria e storia
degli istituti giuridici, ai caratteri delle nazioni, etc.
73
); e che del secon-
72
Ivi, p. 88; ma sulle tematiche umanistico-rinascimentali ancora da investigare, in
un un confronto di Vico con esse, cfr. anche l’ultima nota, alla p. 93. In quegli stessi
anni Garin ribadiva in una nota già richiamata apparsa su questo «Bollettino» che le
«risposte vichiane a domande urgenti fra Seicento e Settecento, lungi dall’essere ana-
cronistiche, e poco importa se in positivo o in negativo (perché precorritrici o perché
arcaiche), erano al contrario singolarmente ‘attuali’» (
A proposito di Vico e Hobbes
,
cit., p. 105). Allo stesso tempo Garin rivendicava, con una punta inusitata di orgoglio
un po’ stizzito (e con il ricorso alla forma impersonale dell’«altri», del «taluno»), del-
l’avere già nel 1947, «quando l’ermetismo non era di moda», insistito «a lungo, e con
forza, sul valore determinante, in Vico, del capovolgimento della tesi rinascimentale»
della «sapienza riposta»; e dell’avere posto la tesi della
Scienza nuova
come risposta al-
l’ipotesi di Bayle non per farne «una questione di fonti, quanto indicare una possibile
chiave interpretativa» (ivi, p. 106). In tale quadro critico, era in relazione all’esigenza
di dare risposta alla questione epistemologica, in un Vico «consapevole dell’urgenza di
una sistematica del sapere (di una classificazione delle scienze con la loro caratterizza-
zione nella ‘enciclopedia’ del sapere»), che Garin affermava che «sembrano confluire
in Vico, e svilupparsi, anche non poche sollecitazioni di ascendenza umanistica, dalla
‘scoperta’ della filologia al rinnovamento della ‘retorica’ (da Valla a Ramo) e all’appro-
fondimento della tematica del ‘diritto’» (ivi, p. 108).
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Un terreno che Garin non aveva molto coltivato. Ma ciò ovviamente nel quadro
dell’inusitata, straordinaria, estensione dei suoi interessi di lettura e di indagine. I
quali, ad esempio, lo avevano condotto a stilare agli inizi degli anni Settanta un’effica-
ce ricognizione sul ‘diverso’ nella cultura europea del XVII e del XVIII secolo, sugli
esiti ed echi – tra resoconti dei gesuiti e ardite tesi dei libertini – di quelle «scoperte»
che avevano inciso enormemente sulle «teorie sempre più complesse, e sempre più
fitte, dal Seicento in poi, sullo stato di natura, sul diritto di natura, sul ‘relativismo’
delle norme e delle credenze»: uno sfondo sul quale «vanno collocate anche le rifles-
sioni di Vico e, per altro verso, Montesquieu, o le pagine di Voltaire ‘sur les moeurs
des nations’» (I
D
.,
Alla scoperta del «diverso»: i selvaggi americani e i saggi cinesi
, in
Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo,
Roma-Bari, 1975,
pp. 355-356). Il testo riproduce, con leggere modifiche, una relazione tenuta nel 1971
ad una tavola rotonda tenuta in occasione del XXIV Maggio musicale fiorentino e