GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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do la centralità (ma non esclusività…) del discorso umanologico era di
nuovo tutta ricondotta al rifiuto epistemico dell’universo macchina.
Ed era infine una posizione tale da suscitare interrogativi quanto
alla vicenda della riflessione vichiana, dal momento che faticava a per-
suadere (a parte i riferimenti ad accenti ‘protoromantici’) in primo
luogo il fare fattualmente centro sul
De antiquissima
come testo chiave
per la dimostrazione del Vico avverso all’ontologia platonico-pitagoriz-
zante rinascimentale rifluita nel fondamento metafisico della scienza
moderna: un testo del quale però non si può tacere il neoplatonismo
diffuso nella formulazione di una metafisica che è difficile non consi-
derare densa di elementi ‘arcaici’, comunque convivente proprio con il
neoplatonismo ermetizzante della
prisca philosophia
o
theologia
, il cui
abbandono Garin giustamente poneva come secondo «punto fermo»
della meditazione vichiana
74
.
Ma era soprattutto una posizione che non ha potuto non suscitare
qualche perplessità, anche in chi (come chi scrive) si è riconosciuto
non soltanto in una lezione mirabile di metodo ed in un gusto della ‘ri-
cerca contestualizzante’, ma anche nella direttrice di fondo della linea
di indagine che colloca Vico pienamente, e assai produttivamente, nel
suo tempo, in fecondo confronto con tendenze in esso eminenti
75
. So-
no perplessità che nascono dinanzi al possibile cedere all’insidia del
radicale capovolgimento della tesi dell’isolamento del povero professo-
re di retorica napoletano: dinanzi al rischio di eccedere in riconosci-
pubblicata con il titolo
Le civiltà extraeuropee (e in particolare l’Oriente e l’America)
nella cultura dell’Europa moderna: miti, influenze, problemi
, Firenze, 1971 (Quaderno
n. 2), pp. 25-49 (secondo l’indicazione delle pagine che dà la citata
Bibliografia degli
scritti vichiani
, in ciò divergente da quella fornita dall’autore nell’
Avvertenza
al
volume, p. XVI).
74
«Se infatti il primo punto fermo vichiano, fissato già nel ’10, è la critica della
matematica, o, meglio, dell’uso ontologico delle costruzioni matematiche, il secondo
punto, non meno decisivo, è la netta affermazione della fallacia di una sapienza
antichissima collocata nelle origini […]» (
Vico e l’eredità…
, cit
.
, p. 82).
75
Un ‘tempo’ da non considerare angustamente, in relazione ad una stagione nella
quale in particolare saperi e metodi del mondo umano non conoscevano certamente le
logiche dell’‘aggiornamento’ che si potrebbe essere portati ad applicare, e nella quale il
lucidissimo, tagliente metodo della conoscenza genetica del mondo umano elaborato
dal pensatore napoletano – attraverso il confronto con i teorici tardocartersiani, o del-
l’‘ars critica’, del tardo Seicento, e ancora del primo Settecento – poteva, sì, tranquil-
lamente più che reggere la sfida con i metodi ‘congetturali’ non solo di un Rousseau,
ma anche dei teorici scozzesi della ricostruzione ‘stadiale’ della storia della civiltà.
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