ENRICONUZZO
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menti di adeguatezza dell’informazione e di pienezza di ‘consape-
volezza’ delle problematiche in gioco; riconoscimenti peraltro non
necessari per intendere le ragioni dell’estrema produttività di forme di
pensiero che talora proprio nell’opposizione a correnti prevalenti nel
loro tempo trovano l’impulso al produrre novità intellettuali.
Ecco dunque un Vico «in perfetta sintonia col suo secolo», collo-
cato «con eccezionale vigore nel tempo, non solo di Montesquieu e di
Rousseau, ma anche di Hume e di Kant»
76
. Di più, ecco che, in pagine
(‘retoricamente’ assai belle) di appassionata difesa dell’aggiornata fon-
dazione moderna dell’umanesimo, della centralità dell’umano, non a
caso non riemerge più l’indicazione, in precedenza espressa, dell’ope-
rare del fondamento provvidenziale nella concezione vichiana del-
l’agire umano; ma – a proposito delle «credenze religiose» – non a
caso si concorda con il rilievo degli accenti feurbachiani rinvenuti da
Horkheimer, addirittura dichiarando che Vico – nell’iniziare «una
nuova antropologia» e nel fondare «in una prospettiva nuovissima»,
«una vera e propria enciclopedia delle scienze dell’uomo» (il che è tut-
to vero), – «nei termini più audaci del più audace Settecento, affronta
col fenomeno religioso il problema dei fondamenti della morale e del
diritto, della linguistica e dell’estetica»
77
.
Si trattava di una lettura di fatto fortemente ‘laicizzante’. Ma era
una lettura che aveva forse, a vedere bene, qualche radice assai lon-
tana, e che sopra si è provato a portare alla luce: in una tesi che
(espressa con mutate sensibilità) più o meno riaffiorava nella discon-
tinuità stabilita tra da un lato la visione ontologica della natura che
univa tanti pensatori della stagione umanistica e ancora Leonardo e
Galileo, dall’altro invece la posizione di Vico. È la tesi della religiosità
di quella visione, sottoposta invece ad un’opera di ‘laicizzazione’ nel
76
Vico e l’eredità…
, cit., pp. 88, 87.
77
Ivi, pp. 84, 87. Sul Vico di Horkheimer (richiamato a p. 86) Garin era intervenu-
to qualche anno prima in una precisa nota:
Max Horkheimer su Vico
, in questo «Bol-
lettino V (1975), pp. 143-144. In essa Garin non si era però addentrato in un giudizio
su tesi, ben pertinenti, dell’autore tedesco: in particolare sulla rilevazione della svolta
vichiana di una fondazione di una filosofia della storia nella ricerca di un ‘disegno na-
scosto sotto la superficie degli eventi’; vale a dire il tema del significato del fondamen-
to provvidenziale, messo in gioco da una lettura (più vicina a quella maturata da
Croce) della fortissima ‘audacia’ vichiana nel trattare il tema della religione, delle reli-
gioni. Naturalmente anche qui sottintendo vedute esegetiche argomentate altrove, in
tal caso soprattutto in un mio volume: E. N
UZZO
,
Tra religione e prudenza. La ‘filosofia
pratica’ di Giambattista Vico
, Roma, 2007.
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