ENRICONUZZO
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da Vico al neoidealismo italiano, e così via) prescindendo da caratteri
ed evoluzioni della sua biografia intellettuale.
In tal senso Garin ha perseguito un itinerario per certi aspetti affine
a quello di Piovani, nel connettere decisivamente umanesimo e moder-
nità. Ma per altro verso una certa propensione per la ‘connessione’ e
per la ‘continuità’, che si è anche in precedenza rilevata (e che è risul-
tata del tutto benemerita quando ha insegnato, ad esempio, a non se-
parare storia della scienza e storia della filosofia), lo ha indotto a non
evidenziare i caratteri di scarto tra uomo e natura che proprio la scien-
za moderna ha prodotto (con gli opposti processi di ‘svelamento’ e di
‘occultamento’ che Husserl acutamente riconduceva al ‘genio’ di Ga-
lileo). In tal senso il Vico ‘umanologico’ di Piovani nasce in una con-
dizione di rottura piuttosto che di completamento, configurandosi,
con espressione icastica, come un pensatore ‘senza natura’ nel proces-
so di integrale responsabilizzazione etica dell’uomo
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: sia pure con il
rischio di sottovalutare premesse metafisico-teologiche del discorso
vichiano, ed esiti non ‘individualizzanti’ della sua ‘filosofia della storia’.
Le letture di Garin e di Piovani sono così risultate, almeno su que-
sto punto, non poco distanti, come del resto essi erano consapevoli
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:
come invece non furono distanti i caratteri salienti degli studiosi e de-
gli uomini, naturalmente consentanei nella passione della ricerca im-
prontata al più elevato rigore. Sulle occasioni di incontro fra i due sol-
lecitate da Vico, dalla lungimirante fondazione del Centro di studi vi-
chiani da parte di Pietro Piovani, pare giusto chiudere queste pagine.
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Di questo nesso tra abbandono degli spazi rassicuranti dell’ordine del cosmo e
costituzione del carattere intrinsecamente ‘morale’ di una moderna ‘umanologia’ si
rivelava incomprensivo Badaloni quando (tra l’altro collegando le interpretazioni di
Pietro Piovani e Paolo Rossi su ‘Vico e la natura’) si domandava «per quali motivi
Piovani trovasse […] tanto importante modernamente» contrapporre natura e uomo
(B
ADALONI
[1984], p. 170).
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Non a caso Garin chiudeva le sue intense pagine sugli studi vichiani di Piovani
sul tema del Vico «senza natura», sul quale «proprio qui […] si addensano i
problemi». La sottolineatura però del fatto che Vico, oltre che scoprire «il limite, che
la ‘metafisica’ galileiana (molto ingenua) aveva lasciato in ombra, del valore delle ma-
tematiche», scopre «la storicizzazione anche delle concezioni ‘scientifiche’, delle scien-
ze della natura», è idonea piuttosto a confermare, invece che a problematizzare, la tesi
dell’abbandono di un interesse vichiano per la natura (tanto meno un interesse ‘diffu-
samente consapevole’, direi). Cfr. E. Garin,
Gli studi vichiani di Pietro Piovani
, in
questo «Bollettino» XIV-XV (1984-1985), p. 18.
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