GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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9. Per altezza di qualità e intransigente rigore di studiosi, Garin e
Piovani erano fatti per incontrarsi: per quanto differenti per forma-
zione e vocazione, oltre che per ambiti prediletti di studio, stile di
scrittura, e dunque impegnati su diversi fronti di riflessione teorica e
storiografica; e differenti anche, come del resto è ovvio, per ‘persona-
lità’, ‘temperamento’ (il senso drammatico, tragico, dell’esistenza in
Piovani non si alimentava di una propensione profonda alla ‘malinco-
nia’ come in Garin). Ma pure per l’aspetto di personalità non soltanto
intellettuali erano considerevolmente uniti da tratti comuni. A poterne
parlare adeguatamente, provando a seguire anche le radici vitali di bio-
grafie intellettuali che hanno illustrato la vita culturale italiana del secon-
do dopoguerra, andrebbe detto di una vicinanza profonda nel sentire
insieme drammaticità della vita e doverosità dell’impegno nell’‘ordina-
rio’ della vita civile, esercitato con austera sobrietà, secondo un costume
(anche ‘accademico’) assai severo: che intransigentemente adottato in
Piovani gli faceva assumere la figura di un «‘sacerdote’ laico», per ri-
prendere una bella espressione impiegata da Giuseppe Galasso
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.
Furono comunque studiosi uniti per tanti aspetti: da un comune
sentire il rigore della ricerca, e il metodo dell’attenta ricostruzione filo-
logica delle idee, diretta alla
‘
ricognizione dell’individuale’, nella co-
mune ripulsa delle facili sintesi ‘genealogiche’ e ‘sistematiche’, arbitra-
riamente semplificatorie; dall’ampiezza dei loro interessi di lettura e di
indagine, che nutriva la possibilità di intervenire largamente su ambiti
comuni; dal pur diverso impegno nello stilare anche larghi quadri sto-
riografici, ma con una differente urgenza ‘teoretica’ in Piovani di met-
tere a fuoco i grossi mutamenti teorici intervenuti in quella ‘modernità’
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La corrispondenza intercorsa tra Garin e Piovani mostra il grande riserbo nello
stile della comunicazione, espresso non poco, entro un severo costume accademico,
nell’indirizzarsi l’un l’altro con la forma del «Lei»: così impedendo che la spinta di una
grandissima stima reciproca, che l’impulso di un’effettiva amicizia intellettuale – ma
non soltanto intellettuale, se consentiva il discreto ma vivo riferimento alle angosce
degli affetti familiari e agli affanni profondi della vita –, quasi potessero ‘scadere’, se la
qualità della ‘confidenza’, non più protetta da un elemento di austerità, si abbandonas-
se ad un banalizzato tono ‘confidenziale’. Per l’espressione «sacerdote laico» si veda la
Prefazione
all’importante volume (nel quale tra l’altro si leggono pure considerazioni
assai equilibrate sulle questioni incontrate degli arcaismi o dell’isolamento vichiani) di
G. G
ALASSO
,
La filosofia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento
,
Napoli, 1989, p. 11.