PENSIERO E VITA CIVILE NELLA NAPOLI VICHIANA DI FINE SETTECENTO
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della nobiltà ereditaria, quale «corpo intermedio», munito di preroga-
tive necessarie alla vita stessa della monarchia contro ogni forma
estre-
ma
di potere
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. Con Genovesi e Pagano si trattava di sostenere il valore
di quella «eroica virtù» civile contro l’assetto feudale tradizionale per
garantire autentica vita civile nello Stato che ogni regolare governo,
compreso quello monarchico, deve tutelare. Perciò, con la distanza
dalle posizioni dell’
Esprit des lois
matura un’efficace riflessione attenta
più che alle istituzioni e alle
forme
della politica al
corpo
sociale e a
quella sua ineludibile energia, sintesi di
libertà
e
virtù
. Al tema sono da
riferire, non a caso, i contenuti delle varianti introdotte nel capitolo
XV del
Saggio V
della seconda edizione, per ribadire il valore di quella
sintesi posta a fondamento di ogni diritto:
[…] Quindi senza virtù non v’è libertà. Né virtù senza libertà. […] La
libertà vera […] è il dritto di adoprare tutti i suoi dritti; anzi […], la libertà è
d’ogni dritto la base e la proprietà: per modo tale che, distrutta la libertà, tutti i
dritti dell’uomo e l’istesso uomo morale vien distrutto (
Sp2
, pp. 328, 338).
In questo contesto, la
figura
aristotelica della
virtus
veniva assunta e
collegata all’idea di
ordine
, che realizzava l’innesto del diritto sulla na-
tura e collocava gli umani
bisogni
in un nuovo «ordine medio», rifles-
so, sul piano storico-politico, dell’oraziana «aurea mediocrità» oppo-
sta, nel soppresso
Saggio VI
(
Del gusto, e delle belle arti
) della prima
edizione ai processi di corruzione del bello e del gusto introdotti dalla
poetica barocca, dai «concetti del Seicento» o dal «gergone ormai
troppo diffuso nell’Italia» (
Sp1
, p. 218). Nei
Saggi
del 1792, il tema era
discusso in un interessante brano introdotto nel capitolo XX del
Sag-
gio V
(assente nel corrispondente capitolo XX della prima edizione),
per riformulare quel concetto di «ordine mezzano», centralissimo nella
tradizione storico-giuridica meridionale da Gravina al Genovesi delle
Lezioni di commercio
(1765-1767) e reso attuale dal dibattito aperto
dalla prima costituzione francese (1791):
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«Ma il Montesquieu non ravvisa monarchia, dove non siavi un ordine di nobiltà,
dove l’intermedie potenze de’ nobili non reprimano gli estremi del dispotismo e della
libertà popolare. […] Coteste potenze intermedie non giovano a moderare l’arbitrario
potere, quando questo sul popolo voglia gravitare: i piccioli e subalterni despoti,
potenti ad opprimere la plebe, sono inefficaci a resistere al potere arbitrario. Percioc-
ché non hanno, per legge, funzione alcuna come corpo, né immediato interesse per lo
bene del popolo […]. In somma le braccia di così fatta aristocrazia formano le catene
del popolo, e scavano sovente la tomba al despota medesimo» (
Sp2,
pp. 232-233).
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