che di contro al dogmatismo dei ‘nuovi critici’, rischia di trascinare a
sua volta la riflessione vichiana sul crinale di una nuova ed irresolubile
forma di scetticismo
29
; e tuttavia, è precisamente muovendo dalla con-
sapevolezza del carattere difettivo del nostro
cogitare
che, per il Vico
delle
Orazioni
come per quello del
De antiquissima
e della
Scienza
nuova
, è possibile ricostruire una «metafisica degna dell’umana limita-
tezza»
30
, una metafisica cioè che sia in grado di «sollevar e reggere l’uo-
mo caduto e debole, non convellergli la natura, né abbandonarlo nella
sua corrozione»
31
. Al contrario, la distinzione cartesiana fra sostanza
pensante e sostanza estesa, restando orgogliosamente ancorata al meto-
do geometrico del suo sviluppo, non sa individuare la costitutiva insuf-
ficienza della ragione e, proprio per questo, si presenta come il frutto
di un processo di progressiva astrazione incapace di affrancarsi dal
«limite originario» di ogni sapere per divenire, «con il fare», simile
«alla scienza divina»
32
: «Cartesio», afferma Vico, «alla maniera degli
analitici, suppose la materia creata e la divise»
33
; allo stesso modo, la
scienza dell’uomo, che a differenza di quella di Dio non contiene in sé
LA ‘NATURA INTEGRALE’ DELL’UOMO
101
29
Così scrive Benedetto Croce, nella monografia vichiana del 1911, al termine del
capitolo dedicato alla metafisica del
De antiquissima
: «Considerata nella sua interezza,
la prima gnoseologia del Vico non è intellettualistica, non è sensistica e non è veramen-
te speculativa; ma contiene tutte tre queste tendenze che si compongono in certo modo
tra loro, non col sottomettersi gerarchicamente a una tra esse, ma col sottomettersi tutte
alla riconosciuta incompiutezza della scienza umana. Il suo intento sarebbe di fronteg-
giare, con un sol movimento tattico, dommatici e scettici, contro i primi negando che si
possa sapere tutto e contro i secondi che non si possa sapere cosa alcuna; ma riesce inve-
ce a un’affermazione di scetticismo o agnosticismo, nella quale non manca neppure
qualche tratto mistico» (
La filosofia di Giambattista Vico
, cito dal volume a cura di F.
Audisio per l’Edizione Nazionale delle Opere crociane, Napoli, 1992, pp. 26-27).
30
De ant
., p. 143.
31
Sn44
, p. 496. «Il concetto dell’antropologia vichiana», spiega G. S
EMERARI
in
Intorno all’anticartesianesimo di Vico
(in
Omaggio a Vico
, a cura di A. Corsano
et alii
,
Napoli, 1968), «è che l’uomo è inchiodato alla sua natura corrotta dal peccato di
Adamo e ha una mente limitatissima, che partecipa della ragione, ma non la possiede
interamente e, incapace di penetrarne la interiorità, si ferma alla superficie delle cose»
(p. 207); per ciò, aggiunge Semerari, il «punto di partenza deve essere il riconoscimen-
to dello stato di caduta e di debolezza dell’uomo. Questo è lo stato proprio dell’uomo,
la sua
natura
, che pertanto né la filosofia né la scienza né la pedagogia devono preten-
dere di poter violare o sacrificare: ciò che esse possono e
devono
fare è sostenere, aiu-
tare l’uomo non uscendo però dai confini della sua condizione naturale» (p. 208).
32
De ant
., p. 27.
33
Ivi, p. 77.
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