Il
cogito
, si è detto, fornisce coscienza della dipendenza da un altro
da sé. Il conseguente riconoscimento di Dio come fonte del mio pen-
siero nell’animo rappresenterebbe dunque la ‘congruenza’ della dottri-
na di Malebranche:
se Malebranche avesse voluto essere coerente con la propria dottrina avrebbe
dovuto mostrare come la mente umana riceva la conoscenza da Dio, non solo
quella del corpo, del quale è mente, ma anche di se stessa: cosicché non può
conoscere se stessa se non si conosce in Dio. La mente, infatti, si manifesta
pensando: ma è Dio che conosce in me ed è dunque in Dio che conosco la mia
stessa mente. Ma queste riflessioni avrebbero reso coerente la dottrina di
Malebranche
61
.
Il pensiero è quindi definito da Vico come
animi mens
. La
mens
,
cioè, è «‘data’, ‘introdotta’, ‘immessa’» da Dio in quella zona dello spi-
rito umano, l’
animus
, che da una parte sfuma verso la corporeità, e dal-
l’altra rappresenta il primo affrancamento dell’uomo dalla materia. Tale
è il Dio che «in me pensa»
62
e che, questo sì, mi si rivela in un
cogito
reso conforme a se stesso. L’
animus
, dal canto suo, si configura, attra-
verso il faticoso percorso concettuale qui descritto, come il luogo dove
sorge e si sviluppa, per così dire, la prima intelligenza (o coscienza) del-
l’uomo, intelligenza che, in tal modo, risulta sostanzialmente regolata
sui due opposti estremi della propria congenita materialità e della per-
fetta spiritualità che è in essa significata dalla mente divina. Come sot-
tolinea perciò Vico nelle stesse pagine appena citate,
Appare […] naturale che i latini parlassero di
animi mens
e che riferissero a
Dio un assoluto diritto ed arbitrio sui moti dell’animo. Allo stesso modo che
la
libido
, ossia la facoltà di desiderare,
sit suus cuique Deus
»
63
.
GERI CERCHIAI
108
61
De ant
., p. 109.
62
Risp. I
, p. 136. Ecco il brano completo: «Ma, perché gl’impronti portano eviden-
za di sé, raziocinio di ciò che significano: perciò, mentre io considero la mia forma par-
ticolare posta nel mio pensiero, non ne posso dubitare in conto alcuno; ma, addentran-
domi nella forma metafisica, truovo esser falso che io penso e che in me pensa Dio; e
così intendo in ogni forma particolare esser l’impronto di Dio».
63
De ant.
, p. 107.
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