in un’intensa attività di studio e di promozione di convegni e conferen-
ze, di lezioni radiofoniche e bilanci critico-storiografici in occasione del
tricentenario (1968) della nascita del filosofo. Dentro e fuori questi
«omaggi» Piovani maturò interessi teorici distanti dalle letture cattoli-
che e neoidealistiche del Novecento, avvertendo l’esigenza critica di
documentare la presenza filosofica viva di Vico contro ogni ricostruzio-
ne ‘attualizzante’ e presunto «precorrimento». Nell’ampio programma
di studi, aperto, nel 1953, dalle dense pagine dedicate a
Rosmini e Vico
,
il letterato e moralista finissimo, educato alla severità degli studi giuri-
dici, giungeva a Vico, coltivando l’«accoppiamento idealistico di filoso-
fia e storia»
2
. E in autonoma, originale riflessione, si era nutrito della
lezione dello Jhering sulla «pluralità delle esperienze giuridiche», teo-
rizzata nel 1962, in contrasto con il monismo del diritto naturale d’ori-
gine medievale, risorgente in età contemporanea. In essa meritano,
invece, di essere approfondite le relazioni tra linguaggio e storia secon-
do la lezione impartita dai linguisti fiorentini ammirati e frequentati,
specialmente Giovanni Nencioni e Giacomo Devoto, «sottile morali-
sta», teorico di quella «civiltà di parole»
3
, vivente nell’intreccio tra il
mondo morale dell’individualità in azione e la dimensione del diritto,
inteso vichianamente, fin dal 1956, come «attività» e «dinamico farsi»,
«parte della realtà umana in sviluppo» che è
esperienza
e non
concetto
4
.
FABRIZIO LOMONACO
12
2
Così parlando di sé in [
Intervento nell’inchiesta:
]
Parlano i filosofi italiani,
a cura
di V. Verra, «Terzoprogramma», 1972, 3, p. 160. Un approfondimento di queste e di
altre ‘fonti’ del vichismo piovaniano ho dato nel mio saggio
L’‘impresa’ vichiana di
Pietro Piovani,
in «Archivio di Storia della Cultura» XIV (2001), pp. 189-210.
3
P. P
IOVANI
,
Civiltà di parole
(1965), poi in I
D
.,
Margini critici
, presentazione di F.
Tessitore, Napoli, 1981, p. 67. Una segnalazione del 1976 (apparsa in questo «Bolletti-
no» VI, 1976, p. 241) chiariva con quanto «sfumato e dialettico senso del positivo» do-
vevano essere letti gli accenni di Devoto sulla «lingua di Vico». Le «negligenze» vichia-
ne erano considerate come momenti di «una rottura, di una dissacrazione, anche di una
benefica lacerazione» in un «progresso consapevolmente o inconsapevolmente perse-
guito». Sul Vico di Devoto, «modello di stile
complesso
», si vedano anche le osservazio-
ni critiche, ivi V (1975), p. 174 e quelle precedenti a proposito di Vico e Muratori (cfr.
ivi, IV, 1974, p. 208).
4
I
D
.,
L’intuizione del diritto come attività
(1956), poi in I
D
.,
La filosofia del diritto
come scienza filosofica
, Milano, 1963, pp. 76, 83 e I
D
.,
Il problema della filosofia giuri-
dica italiana oggi
(1953), poi (leggermente modificato) in «Annali Triestini» XXIII
(1953) sez. I, p. 3 (dell’estratto). Sulla nozione di «esperienza giuridica» e le sue ascen-
denze capograssiane con diretti riferimenti a Vico è fondamentale l’
Introduzione
a G.
C
APOGRASSI
,
Il problema della scienza del diritto
, a cura di P. Piovani, Milano, 1962, in
partic. pp. VI sgg.
1...,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11 13,14,15,16,17,18,19,20,21,22,...196