sono ‘fatti’ da sé: in questo essi sperimentano il proprio limite origina-
rio inaggirabile. L’Io e la mente, che pure pensano il
verum-factum
e
l’intera topografia del
facere
dell’uomo (di ciò che può esservi incluso e
di ciò che deve esserne escluso, nonché delle conseguenze che da que-
ste operazioni derivano), sanno di doversi collocare al di fuori di esso e
di trovarsi in quella situazione di
estraneità
, condivisa da tutto quanto
non è ‘fatto’ dall’uomo, che nel loro caso è resa ancor più stridente e
decisamente unica dalla
vicinanza
estrema in cui essi stanno con l’uo-
mo; il quale sente con forza che l’Io e la mente gli appartengono più di
ogni altra cosa e al tempo stesso gli sono estranei nella loro origine.
Sulla scorta dell’insegnamento vichiano contenuto nel
De antiquissima
– un testo da molto tempo ormai non più «misconosciuto»
38
, ma anzi
dotato ancora oggi, a trecento anni dalla pubblicazione, di una sorpren-
dente vitalità, ricca di stimoli per la riflessione filosofica –, la condizio-
ne dell’Io, che si avverte nel contempo
proprio
ed
estraneo a sé
, sembra
potersi racchiudere sinteticamente nella formula che ho inserito nel
titolo di questo breve lavoro e che qui ho tentato di esplicitare: quella
della ‘disappartenenza’ dell’Io. Si tratta di un paradigma teoretico-
interpretativo che potrebbe dare buoni frutti in direzione dell’imme-
diato passato sia di Vico (penso, solo per fare qualche nome, a Blaise
Pascal e ad Arnold Geulincx) che nostro (mi limito qui ad indicare –
ma è una mera esemplificazione rapsodica – le sole figure di Pietro
Piovani e Samuel Beckett)
39
.
R
OSARIO
D
IANA
ROSARIO DIANA
124
38
È un’espressione usata da Mario Papini all’inizio di un saggio del 1991 sul
De anti-
quissima
, in cui, con entusiasmo profetico – sorretto da ragioni condivisibili, ma diverse
da quelle qui indicate e argomentate – , si diceva «convinto che gli anni ’90» del secolo
scorso avrebbero visto «un formidabile recupero dell’ormai misconosciuto
De antiquissi-
ma italorum sapientia
. Questo affascinante rilancio» sarebbe avvenuto «non soltanto nel-
l’ambito circoscritto dell’ermeneusi vichiana», ma anche «nel teatro assai più vasto della
storia del pensiero filosofico e scientifico dell’intera età barocca» (M. P
APINI
,
Opzione
barocca per il
De antiquissima, in
Vico e il pensiero contemporaneo
, cit., p. 352).
39
Geulincx e Beckett (lettore sia del filosofo fiammingo che di Vico), interpretati
alla luce del concetto qui fissato di ‘disappartenenza’ dell’Io, sono da diverso tempo
oggetto di mie ricerche in corso, di cui il saggio qui pubblicato è – per così dire – la sta-
zione di partenza. I risultati provvisori di queste indagini, nel loro insieme, sono stati
presentati in occasione della giornata di studio su: «‘Modernità’ del
De antiquissima
»,
tenutasi il 18 dicembre 2009 presso la sede napoletana dell’Istituto per la Storia del
Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno del CNR.
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