coerenza del genere scelto (un trattato), del suo oggetto (l’esperienza) e della
sua struttura (un trattato medico-anatomico), dovrebbe concludersi con una
descrizione metodica dell’esperimento, descrizione che Spinoza non scrisse
perché, come aveva detto a Tschirnhaus, per questo aveva bisogno di maggior
tempo di vita» (p. 40).
La genesi del materialismo storico nei
Manoscritti del ’44 (pp. 41-44) è poi
il titolo del contributo di Mario Cingoli, il quale ricorda che i
Manoscritti del
‘44
erano stati preceduti nel 1843 da un testo rimasto inedito, dove Marx por-
tava avanti una critica molto dura nei confronti di Hegel. Seguendo
Feuerbach, infatti, Marx muoveva ad Hegel l’accusa di inversione di soggetto
e predicato, «ovvero di aver posto a base l’universale astratto anziché gli indi-
vidui concreti» (p. 41).
È invece nei
Manoscritti
che Marx avverte l’esigenza di fare i conti anche
con Feuerbach, e lo fa in una parte del testo, che l’editore colloca come fina-
le, dove ribadisce – è vero – la propria critica nei confronti di Hegel, ma dove
rimprovera pure Feuerbach per avere rinnegato la dialettica hegeliana, anziché
recuperarla e rifunzionalizzarla. Hegel, infatti, aveva inteso in modo astratto
tanto la necessità del momento dell’estraneazione, quanto il dover giungere
dell’uomo alla propria realizzazione, mentre si trattava di mettere in primo
piano l’idea dell’uomo come ‘attivo ente naturale’. È il concetto di industria ad
essere la chiave di volta che lega natura e storia: è infatti attraverso la propria
industria, la propria
praxis
, che l’uomo, ‘attivo ente naturale’, da un lato lavo-
ra la restante natura, e dall’altro entra in rapporto con gli altri uomini e costi-
tuisce le sue relazioni storiche. Ecco pertanto che una lettura di Hegel funzio-
nale al proprio pensiero permette a Marx la comprensione del movimento dia-
lettico della storia, ed ecco che è proprio grazie a tale lettura che nei
Manoscritti del ’44
sono già presenti i concetti dell’‘attivo ente naturale’ e della
sua industria, che saranno poi alla base del materialismo storico.
Ancora ai ricordi per rendere omaggio a Paolo Cristofolini si affida invece
Luciana de Bernart, la quale nel suo bel contributo
Sapienti, stolti e folli.
Figure cinquecentesche di un’antropologia della frattura
(pp. 45-51) ripropone
alcune suggestioni da lei raccolte quando, circa una decina di anni fa, interven-
ne, su invito dello stesso Cristofolini, nel corso del seminario di Storia della
filosofia, alla Scuola Normale, per tratteggiare alcuni aspetti che la complessa
figura del
sapiente
assume nel corso del Cinquecento. L’A., pertanto, delinea
in questo saggio l’immagine del pensiero-sapere e del suo ruolo nel mondo
della cultura europea tra il finire del Quattrocento e il Cinquecento. Ne emer-
ge che sin dagli esordi della civiltà umanistico-rinascimentale l’immagine della
sapienza umana si presenta sempre connessa al suo contrario, e cioè all’insi-
RECENSIONI
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