Memoria sine characteribus nulla?
Il tema della memoria intellettuale nelle
note parigine di Leibniz: tra Descartes, Hobbes e Spinoza
(pp. 66-71) è poi il
titolo del saggio di Stefano Di Bella, il quale, prendendo spunto da un contri-
buto di Cristofolini del 1962 su
Il problema cartesiano della memoria intellet-
tuale
, ricerca la traccia di tale tema – quello appunto della memoria intellet-
tuale – in alcune riflessioni leibniziane appartenenti a quella serie di appunti
del 1676 conosciuti come
Note parigine.
Emerge dalla lettura di tali riflessioni
– fa notare l’A. – il confronto serrato che, su tale tema, Leibniz instaura con il
dibattito filosofico a lui coevo: in primo luogo con Descartes e la sua opera,
ma anche con Spinoza (l’eco del cui pensiero gli giunge frammentario sebbe-
ne più che mai suggestivo) e naturalmente con Hobbes. «È dentro questa
complessa triangolazione» – spiega Di Bella – «che si colloca l’attenzione al
tema della memoria intellettuale» (p. 65). Pertanto, in forma schematica, l’A.
tende a chiarire come esso si leghi ad almeno due ordini di preoccupazioni
cruciali per Leibniz: da un lato il problema del rapporto tra segni e pensiero,
centrale per la sua teoria della conoscenza, dall’altro la possibilità dell’immor-
talità dell’anima, essenziale per il suo progetto di
philosophia mentis
.
Natacha Fabbri illustra invece nel proprio contributo, che si intitola
Dialoghi in musica nelle città armoniche
(pp. 73-79), come – all’interno della
generale corrispondenza tra
kosmos
e
polis
– viene declinato il modello della
concordia nelle rappresentazioni utopiche e nei dialoghi cinquecenteschi.
Partendo dalle opere di Bodin e Anton Francesco Doni, l’A. fa incursioni,
oltre che nel panorama letterario vero e proprio, pure in campo musicale e
architettonico ricordando le ‘città ideali’. «Il Cinquecento» – dichiara Fabbri
– «lacerato da equilibri inesorabilmente compromessi e dalla difficoltà di
attuare in modo organico una riforma civile e religiosa, è costellato da repub-
bliche immaginarie che si rifugiano nei modelli platonici e aristotelici, dopo
avere abbandonato la conciliazione e coesistenza dei differenti professate da
Lullo, Pico, Ficino e Cusano. Respingendo ogni apertura tollerante e propo-
nendo sul piano religioso una concordia in cui gli elementi dissonanti sono
espunti o ridotti al minimo, esse preferiscono fuggire dal confronto con la real-
tà a cui invece cerca di rispondere la
discordia concors
di Bodin» (p. 79).
Segue a questo di Fabbri il saggio di Alberto Gajano
La distinzione fra agire
e la critica dell’oligarchia nel
Carmide
di Platone. Riflessioni preliminari
(pp.
81-90). Nel corso di questo suo lavoro l’A. propone di dimostrare come fin dal
prologo del dialogo platonico in questione, al di là del tono ‘cortese’ che sem-
bra dispiegarsi, si delineano due concezioni di saggezza: quella di Crizia, al
tempo stesso aristocratica e sofistica, e quella di Socrate, «che le si oppone da
un versante che non può dirsi democratico» (p. 82), estremamente innovativa,
RECENSIONI
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