sicae
, conservato presso la Biblioteca del Politecnico di Milano. Il corso del
1756, spiega l’A., si articola in venti lezioni, le cui ultime sei sono dedicate ad
un tema classico, ovvero l’origine della religione ed il suo rapporto con la poli-
tica: è in seno a due di queste lezioni – precisamente la XVIII e la XX – che
compaiono due menzioni di Vico ed un accenno a Spinoza. La prima citazio-
ne vichiana è fatta a proposito della controversia che si aprì in Toscana tra
Guido Grandi e Bernardo Tanucci riguardo la questione delle XII Tavole:
Frisi riprende le critiche mosse da Grandi a Vico, negando la tesi vichiana, ed
accusando il filosofo napoletano di ‘nazionalismo’. La seconda menzione di
Vico – molto più articolata della precedente – è invece a proposito della tesi
secondo cui la religione deve le sue origini al ‘timore’: la posizione di Vico al
riguardo è qui accostata da Frisi accanto alle tesi lucreziane e atee di Hobbes
e soprattutto all’assunto di Spinoza.
Ancora su Cartesio discute invece Nicoletta Sciaccaluga nel saggio
La
natu-
ra corporis
di Descartes
(pp. 203-215). Sciaccaluga, ricordando in prima battu-
ta che la
natura corporis
nei
Principia
consiste semplicemente nell’estensione, in
ciò che costituisce l’essenza, la sostanza stessa del corpo e della materia, riflet-
te, lungo lo svolgimento del suo denso contributo, sul fatto che la concezione
cartesiana di sostanza corporea, almeno in un primo momento, non era «neces-
sariamente aliena da un concetto di forza, mentre è sempre aliena dalla variabi-
lità spontanea che Descartes è ancora disposto ad assegnare a ciò che è spiri-
tuale, anche se in seguito la spontaneità sembra limitarsi lì alla sola volontà» (p.
215). Il corpo è, dunque, forma di potenza senza iniziativa, una
potentia natu-
ralis
, forza che mette in atto la sua essenza. Questa forza – corporea e naturale
– si sarebbe contrapposta all’identificazione di ogni vera fonte di azione in Dio.
Sciaccaluga – infine – riflette sul rapporto tra Dio e sostanze create: la filosofia
cartesiana – spiega bene – mostra non poche incertezze tra l’elisione di ogni
distinzione reale, che vira verso lo spinozismo, e il tentativo di cercare una qual-
che forma di convivenza «che può solo tramutarsi, sotto l’egida del pensabile,
in concorrenza o equivocità ed evolversi poi in occasionalismo» (p. 215).
Unendosi «con l’affetto di un’amicizia antica» a questo omaggio a Paolo
Cristofolini, Emanuela Scribano offre, poi, un interessante contributo dal tito-
lo
Dal trattato sulla beatitudine di Leonard Lessius a Cartesio e Spinoza
(pp.
217-223).
Come il titolo del saggio lascia evincere, l’A. discute su Leonard Lessius,
autore di un trattato
De summo bono et aeterna beatitudine homini libri qua-
tuor
, pubblicato ad Anversa nel 1616, che presenta non pochi aspetti piutto-
sto interessanti per gli storici della filosofia. Tra essi Sciaccaluga ne coglie
essenzialmente due: in primo luogo ricorda che il testo è testimonianza, sep-
RECENSIONI
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