ne del vero ordine delle cose, si approda attraverso il
certo
e la pratica
del mondo. Soltanto così è, infatti, possibile cogliere quei «semi» del
vero, la
vis veri
, struttura connaturata all’uomo che, dopo il peccato, lo
sollecita a vivere secondo il giusto ordine, per ritrovare nel diritto la
forza del vero e l’autorità dell’umana
societas
. In essa si comprende che
la verità non coincide con una forma particolare, perché si dà solo nelle
infinite trasformazioni del
certo
, nelle possibilità stesse di «modificazio-
ne della mente» dentro le strutture variabili dell’
auctoritas
. Perciò, è
grave nei tecnici dello
ius
e nei filosofi dogmatici l’errore di pensare
come opposte e separate la
ragione
e l’
autorità
del diritto positivo. Così,
la tesi giusnaturalistica della continuità di sviluppo umano, in base al
principio dell’inclinazione spontanea e autonoma alla vita sociale, è tra-
sformata dall’introduzione della struttura veritativa divina che serve a
spiegare, senza mai risolverla, l’istanza utilitaristica dell’individualità
singolare. Questa chiarificazione è la risposta convincente alla sfida
demolitrice dello scetticismo antico e moderno (da Epicureo a Bayle)
che sollecitano indirettamente a porre la complicata questione di un
principio di unificazione e di comunicazione tra gli uomini. Si tratta,
quindi, di privilegiare il diritto quale dialettica di idealità e realtà che è
costante aspirazione all’unità sempre infranta e sempre rinnovata di
mens
individuale e collettiva. Nulla più dello
ius
rivela il progressivo
regolarsi dell’idea sulla concreta esperienza. Nella sua attività il diritto
è forma razionale ordinante i fatti dentro il mondo degli individui
dominati dall’immediatezza dei bisogni che proprio l’azione di tale
forma è chiamata a trasformare. Per salvare l’identità dell’azione umana
lontano dalla vuota e dispersiva singolarità, occorre farla convergere in
un processo comune e costante di incivilimento che coinvolge un’espe-
rienza fondamentale di pensiero e di vita. Proprio l’assenza di una com-
prensione unitaria del mondo civile aveva costituito il limite non tanto
di contenuti quanto di metodo del pensiero cinque-seicentesco, incapa-
ce di costruire una storia della civiltà che superasse l’orizzonte della
«politica storica». Contro Machiavelli occorreva riconoscere l’autenti-
ca connessione delle istituzioni fondative della
civitas
, «tres fontes seu
tria capita universi romani iuris», come recita il titolo del
caput
XXXIV
del
De constantia
sui diritti di
patria potestas, connubium
e
nexum
,
ognuno «pervaso di religione». Quest’ultima, giudicata da Machiavelli
come il più artificiale degli strumenti per l’impostura sacerdotale e
l’esercizio del potere, diventa, in Vico, elemento di naturale coesione
sociale che incrementa la
spontanea necessità
della vita sociale, radican-
I QUARANT’ANNI DEL «BOLLETTINO DEL CENTRO DI STUDI VICHIANI»
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