scio di se medesimo, conscio cioè della propria mente, conscio della propria
ragione
6
.
È difficile stabilire se il
conscire
sia una modalità dello
scire
, ma di
certo il passo avanti fatto negli anni di preparazione del
De uno
è rela-
tivo a una forma di sapere diversa: la coscienza non possiamo dimo-
strarla, perché non l’abbiamo fatta, ma possiamo di certo condividerla.
Il tema della condivisione, del
con-scire
è di fatto già raffigurata da Vico
nella scelta del verbo «demonstrare» in antitesi al «tenere» usato rela-
tivamente all’azione dello
scire
. Un verbo interno nel primo caso, ed
uno molto proiettato sull’esterno nel secondo caso. Non è fortuito il
fatto che nel
De constantia
l’unica
conscientia
della quale si parla è quel-
la della propria natura, di una natura umana condivisa, che si esprime
in una forma connotata positivamente e che richiede un sentire comu-
ne in luogo di un sapere. Un’altra forma di vero, dunque, piuttosto che
un non-vero, successivo all’acquisizione della verità, quindi concettual-
mente molto vicino al senso moderno di
conscientia
come capacità
umana di assimilazione della conoscenza. L’ampliamento del nesso
verum-factum
nel
verum-conformatio
avviene insieme a un altro passag-
gio, quello dell’interpretazione della coscienza da un’impossibilità
cognitiva di produrre quello di cui si è causa a una forma di conoscere
peculiare.
Dallo
scire
al
conscire
si passa utilizzando una traiettoria verso un
cammino impossibile, nello scarto profondo tra sentire e immaginare,
e questo anche Croce lo concedeva. La posizione di Vico è soprattutto
legata a una nuova considerazione del ruolo sensoriale e soprattutto
della differenza sostanziale tra sensibilità e realtà effettiva dei corpi.
Questo mette in moto un processo di coinvolgimento, all’interno della
teoria della conoscenza, di varie facoltà, che vengono moltiplicate e
poste in equilibrio fra di loro. Estendere anche ai
sensus
– anche alla
fantasia – la prerogativa di essere
facultates
non significa soltanto, come
vuole la tradizione che fa capo a Badaloni, il fatto che «
facultas
signifi-
ca per Vico nient’altro che
faciendi solertia
, cioè attività»
7
, ma che si
rende necessaria un’attribuzione più generalizzata del termine
facultas
,
DALLO
SCIRE
AL
CONSCIRE
81
6
I
D
.,
De uno universi iuris principi et fine uno
[d’ora in poi
De uno
]
,
in
Opere giu-
ridiche,
a cura di P. Cristofolini, Torino, 1974, pp. 86-87.
7
N. B
ADALONI
,
Introduzione
a G. B. V
ICO
,
Opere filosofiche
[d’ora in poi
OF
], a
cura di P. Cristofolini, Firenze, 1971, p. XXXI.
1...,71,72,73,74,75,76,77,78,79,80 82,83,84,85,86,87,88,89,90,91,...196