NOTE SU
FILOSOFIA E POLITICA NEL PENSIERO ITALIANO
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milanese, di fine Settecento e primo Ottocento. Non lo è per la sempli-
ce ragione che, allergica a schemini storiografici talvolta perfino peggio-
ri di quelli ideologici, sa che ‘provinciali’ non furono quelle culture e i
loro protagonisti, come Pagano e Romagnosi. Il loro esame, fatto con
gusto comparativo per differenze e non per somiglianze (com’è della
comparazione seria), mostra che essi, informati della coeva cultura euro-
pea, affrontarono temi propri di tale cultura nella loro specificità e per-
fino contingenza ‘napoletana’ e ‘milanese’. Si tratta dei problemi della
costituzione e del diritto pubblico in vista della definizione istituzionale
del nuovo Stato, dopo il dispotismo illuminato, intorno e dopo la rivo-
luzione, sapendo bene – come sa la De Pascale – che simili questioni, in
quel nevralgico passaggio dalla modernità alla contemporaneità, non
potevano trovare significazione e incidenza se non fossero state collega-
te con le dimensioni dell’incivilimento e della perfettibilità di popoli,
nazioni e Stati. Ciò significa intendere la imprescindibilità del nesso
stretto che, nell’autonoma configurazione delle loro idee, è comune a
Pagano e Romagnosi: il nesso storia-diritto, scienza della storia e scien-
za della legislazione. E la De Pascale richiama le fonti e gli interlocutori
dei suoi protagonisti: tra le fonti Vico, tra gli interlocutori Montesquieu
e Rousseau, con tutto ciò che a loro sta intorno. In quanto questa è la
prospettiva della ricerca, mi par chiaro un altro intento della De Pascale:
liberare e Pagano e Romagnosi (forse, principalmente Pagano) da ipote-
che interpretative anche autorevoli, troppo preoccupate di ‘precorri-
menti’ o ‘effetti’, ad esempio circa la ‘fortuna’ di Vico, della sua inciden-
za e delle conseguenze di questa incidenza, reale o presunta. Il che com-
porta la impossibilità di cedere, fosse pure per un momento, a rozzi,
semplicissimi e sbagliatissimi schemini interessati a iscrivere Vico tra i
‘novatores’ o, più spesso, tra i ‘veteres’, facendone il capostipite del
moderatismo nazionale, sfociante necessariamente nel ‘catonismo’ di
Cuoco e poi, subito dopo, con pari fatale destino, nel fascismo teorizza-
to e praticato da Gentile ovvero onorario di Croce. Miserie da gazzettie-
ri e non da storici, che, purtroppo, hanno aduggiato una stagione della
nostra vita culturale, per fortuna, oggi, forse, chiusa, anche se ancora,
pur senza accorgercene (ma io non sono tra questi), ne paghiamo le tra-
giche conseguenze sul piano della configurazione e tenuta della nostra
cosiddetta ‘società civile’: questa volta il ricorso alla parola è necessario
pur da parte di chi, provocatoriamente, dinanzi a strumentali configura-
zione ed appelli, è uso dire che questa ‘societa civile’ non l’ha mai incon-
trata per strada, sicché, se esiste, è a sua insaputa.
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