IN RICORDO DI STEPHAN OTTO
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facere
che apre una prospettiva filosofica che va al di là di Vico, giacché
si tratta di una congruenza che non porta all’identità tra storia empirica
e storia ideale eterna, tra azione storica dell’uomo e strutture trascenden-
tali della mente, ma al rapporto geometrico che tiene conto di entrambe
le modalità e delle rispettive differenze.
Si è, talvolta, superficialmente parlato, a proposito della lettura che
di Vico fornisce Otto, di un forzato inserimento delle teorie gnoseolo-
giche e filosofiche dell’autore della
Scienza nuova
in uno schema inter-
pretativo di tipo trascendentalistico. In realtà è proprio il modello
vichiano della
sintesi
tra l’
inventio
della topica e la
critica
dell’analisi
concettuale dei fondamenti del sapere storico, a superare tanto il tra-
scendentalismo kantiano della conoscenza a priori, quanto gli esiti della
fenomenologia trascendentale e del suo rapporto ancora ‘idealistico’ e
apodittico con l’esperienza. Ciò che mancava nella prospettiva trascen-
dentalistica (o almeno non veniva compiutamente tematizzato) era la
centralità del
Verosimile
, la sua pari dignità di funzione gnoseologica,
filosofica e storico-etica, accanto a quella della critica. Otto coglie, così,
tutta la ‘modernità’ di Vico (conservo ancora tra i miei ritagli un suo
intervento sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» che è uno sferzante
invito a un recensore del libro di Mark Lilla del 1993 sull’antimoderni-
tà di Vico, a controllare, metaforicamente, le diottrie delle sue lenti di
lettura) che è tutta racchiusa nella sua ‘rivoluzione’ gnoseologica e con-
cettuale. Così egli scrive in un saggio apparso nel «Bollettino» del 1987-
1988: «Le immagini rendono visibili i pensieri: esse mettono le ali alla
fantasia e imprimono il pensiero nella memoria. Vico non isola il pen-
siero, egli lo colloca al centro tra immaginazione e memoria legando
con ciò il pensiero alle facoltà sensibili dello spirito». Era il motivo
ricorrente di una delle più innovative e personali letture della filosofia
di Vico della seconda metà del secolo XX. Un motivo che si ritrova, ad
esempio, ancora una volta esposto e pensato in Italia, in una relazione
tenuta a Salerno nel 2001 (nell’ambito di un convegno organizzato da
me e da Vincenzo Vitiello, col quale, tra l’altro, Otto ha scritto un pic-
colo, ma intenso libro su
Vico e Hegel
, Napoli, 2001) e che si compen-
dia nel convincimento che Vico riesca a teorizzare originalmente la
convertibilità di segno e di significato, proprio al fine di realizzare una
«rappresentazione figurata della storia». Anche nell’ultimo suo libro
del 2007 (
Die Wiederholung und die Bilder. Zur Philosophie des
Erinnerungsbewußtseins
) – che si apre proprio con un esergo vichiano
– ciò che sta a centro della riflessione è una serrata indagine, storiogra-
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