sofica italiana è venuta sempre più aumentando. Questo libro si pone nello
stesso solco con un’intonazione particolarmente accattivante e ‘moderna’. Alla
curvatura onto-gnoseologica
della tradizione storiografica sostituisce il versan-
te
etico-civile
, considerato come «tratto predominante, anche se, naturalmen-
te, non unico ed esaustivo» (p. 9) della storia filosofica italiana.
Il punto focale intorno al quale ruota tutto il libro, nei suoi articolati capi-
toli, è la rivendicazione del ruolo preponderante e costante assunto dalla rifles-
sione filosofica nella costruzione di una linea unitaria, culturale e morale prima
che politico-statuale, della nazione italiana proprio grazie alla filosofia civile. Il
punto di avvio di questa linea è individuato nell’opera di Vico, nella finezza
con cui il filosofo napoletano intreccia e lega la ricostruzione dei principi onto-
teologici e normativi e le manifestazioni storiche concrete del processo di civi-
lizzazione umana. Vico stesso ripetutamente afferma di servirsi «della pratica
di proporre universali argomenti, scesi dalla metafisica in uso della civile» (G.
V
ICO
,
Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo
, in I
D
.,
Opere filosofiche
,
a cura di P. Cristofolini, Firenze, 1971, p. 21). È il tentativo di elaborazione di
una
teologia civile
e
morale
, in cui religione, etica e diritto si integrano recipro-
camente per formare la struttura spirituale dei popoli e delle nazioni.
Di particolare interesse è proprio la nuova idea di nazione, non più e non
solo considerata nelle sue derivazioni dinastiche e geografiche, ma nell’essere
una realtà istituzionale animata e vivificata da una stessa volontà morale e da
una forte coscienza civile.
Volontà morale
e
coscienza civile
che Croce, relativa-
mente al Regno di Napoli, vedeva costituirsi nel Settecento napoletano ad
opera di Giannone e Genovesi, in continuità con il
filo
di razionalità tessuto
nel corso del Rinascimento, e che gli autori di questo libro, avendo l’occhio
orientato sull’Italia intera, vedono costruttivamente dipanarsi da Vico a
Genovesi, a Filangieri e Pagano; da Beccaria a Verri; dagli epigoni vichiani,
Cuoco e Lomonaco in testa, all’antistoricista Melchiorre Delfico; da
Romagnosi a Ferrari, a Cattaneo, a Pisacane; dalle varie intonazioni del posi-
tivismo alla polemica antipositivistica di Bertrando Spaventa e Francesco
Fiorentino; fino ad Antonio Labriola. Si tratta, come si può constatare, di una
linea di discorso che abbraccia tutto il Settecento e l’Ottocento.
Il richiamo forte su questi secoli e su questi autori non risponde soltanto a
una scelta storiografica, ma a un’intrinseca motivazione teoretica. Nel rico-
struire e ripensare la storia della filosofia civile italiana, non solo si tenta di
riagganciarla a quella europea, ma si vuol contribuire ad offrire una serie di
elementi fondamentali e ancora vitali al dibattito internazionale, oggi più che
mai concentrato sull’etica e sulla filosofia pubblica, sul pluralismo dei valori e
sul rapporto tra bene individuale e interesse pubblico.
Tentativo, questo, fondato e non peregrino o velleitario, in quanto il senso
profondo del termine
civile
che connota la filosofia italiana dei secoli presi in
RECENSIONI
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