cipio primo (Dio) e di una adeguata teoria della conoscenza (la intrinseca rela-
zione reciproca di
verum
e
factum
), Vico riprende e rielabora il concetto di
ragione, configurandolo come strumento non esclusivamente di tipo logico-
conoscitivo, ma anche quale misura dell’azione umana, utilizzante un bilancia-
to equilibrio di «prudenza, temperanza e fortezza». Indice, questo, di una
volontà a perseverare nella costruzione consapevole di una «filosofia civile»
(p. 31), come giustamente chiosa Cacciatore.
Con analisi attente e precise, Cacciatore mostra come il connubio tra la
Provvidenza («primo principio delle nazioni» e «architetta» del mondo stori-
co) e la «sapienza volgare» (il sapere pratico dei popoli) concorra alla forma-
zione del corso delle nazioni. Sicché la libertà e l’arbitrio umano svolgono il
ruolo di «fabbro del mondo» e affondano le loro radici nelle utilità e necessi-
tà comuni a tutti gli uomini. È qui, all’interno di questo straordinario concet-
to vichiano, secondo cui sulla
storia ideale eterna
corre «in tempo la storia di
tutte le nazioni», in virtù del rapporto tra
principi
e
pratiche
, che Cacciatore
individua il punto di origine «di quella peculiare professione della tradizione
italiana di pensiero basata sul nesso di reciprocità fra storia e filosofia» (p. 34).
Ed è ancora qui che Cacciatore riconosce a Vico di aver provocato uno sposta-
mento di interesse verso la scienza dell’uomo e della sua storia, il cui principio
metodico fondamentale diventa la certezza del «mondo civile», fatto dagli
uomini e dove la filosofia, in uno con la filologia, si impegna nella «conoscen-
za dei veri che gli uomini hanno fatto» (p. 41). Dalla natura degli uomini, infat-
ti, derivano i costumi, dai costumi discendono i governi, i quali danno vita alle
leggi, sulla cui base si formano gli «abiti civili», cioè la morale e i comporta-
menti pubblici, e infine le costanti che caratterizzano la vita delle nazioni.
Il saggio di Pierre Girard evidenzia con nettezza di contorni
I cardini della
società civile nell’Illuminismo milanese
(pp. 45-78). Proprio a Milano, uno dei
tre grandi centri della Penisola in cui maggiormente si radica la filosofia dei
Lumi, Girard ritiene si manifesti «una delle esperienze politiche e civili più
note dell’Illuminismo italiano» (p. 47). A promuovere questa manifestazione è
certamente la politica tipica del «dispotismo illuminato di Maria Teresa
d’Austria»: politica intesa a favorire i rapporti tra le idee nuove dei «filosofi»,
il potere politico e la società civile. Sorge da questa situazione politicamente
favorevole l’esperienza del «Caffè». Molto acutamente Girard mostra come la
novità rappresentata dal «Caffè» non vada cercata nella critica a una tradizio-
ne radicata o nella rottura netta con essa. Questa critica e questa rottura, infat-
ti, all’apparire del movimento illuministico erano già consumate
sia sul piano
linguistico-letterario
(si pensi alla posizione di Scipione Maffei sul «Giornale
dei letterati d’Italia»)
sia sul piano della scienza
(si pensi all’esperienza degli
In-
vestiganti
napoletani), sia
sul piano del cosmopolitismo
(si pensi alla fortuna
RECENSIONI
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