dell’
Encyclopédie
in Italia). Nelle
Meditazioni sulla felicità
di Pietro Verri
(1763), non c’è neppure l’impegno civile inteso come polemica nei confronti
del potere costituito. Anzi, per Verri, ogni novità politica va pensata, elabora-
ta e attuata in piena armonia e collaborazione con l’esperienza dispotica illu-
minata di Maria Teresa.
Per Girard la novità e l’originalità del «Caffè» vanno individuate nella vo-
lontà educazionistica, nel tentativo di «ricostruire, attraverso il prisma dello
spirito pubblico, alcuni nuovi valori nella cornice della società civile» (p. 54).
Di qui l’importanza di due grandi principi di legittimazione: quello della
pub-
blica utilità
e quello della
felicità
. Rivolgersi alla pubblica utilità significa fare
il bene della patria e fornire cognizioni utili ai concittadini, contribuendo in tal
modo alla loro felicità: una felicità non pensata con nostalgia, in quanto senti-
mento del passato, e neppure con speranza, come aspettazione del futuro, ma
«pensata nella propria attualità in mezzo alla comunità degli uomini». Verri,
consapevole che gli uomini spinozianamente seguono le loro passioni e non la
ragione, disegna un progetto di filosofia popolare, una dottrina capace di con-
quistare il pubblico e di avvicinarlo ai valori della filosofia illuministica euro-
pea. La forza di tale progetto è nella prosa limpida, scorrevole, accattivante
che non si impone al lettore, ma si rivolge a lui in forma quasi colloquiale, in
una sorta di comunicazione orizzontale, alla pari. Tesi, questa, sostenuta da
Cesare Beccaria nel saggio
De’ fogli periodici
. Era un modo interessante ed
utile per far fermentare idee e pensieri nella mente del lettore. Ed era un modo
per formare la cosiddetta opinione pubblica.
Monica Riccio, con il saggio su
La filosofia civile nella tradizione illumini-
stica meridionale: Genovesi, Filangieri, Pagano
(pp. 79-107) ci dà uno spacca-
to di quella filosofia civile di ispirazione illuministica affermatasi a Napoli nel
corso di tutto il Settecento. Ce ne fa sentire il profumo. La grande novità rap-
presentata dagli intellettuali qui richiamati è il salto, da essi tentato, dalla trat-
tazione teorica delle finalità implicite nella cultura alla indicazione di precise,
concrete e mirate riforme della vita pubblica, delle sue istituzioni e dei modi
di produrre ricchezza. Franco Venturi, per definirli, non esita ad usare il ter-
mine di
riformatori
. A Napoli il terreno di coltura dal quale sbocciò il riformi-
smo di Antonio Genovesi era stato preparato da un forte interesse per l’eco-
nomia e per la tecnica applicata all’agricoltura, risalente al periodo del Vice-
regno asburgico, prima cioè della venuta a Napoli di Carlo di Borbone nel
1734. Se la combinazione di giurisdizionalismo e illuminismo si manifesta nella
sua piena fioritura alla metà del Settecento con Genovesi, è perché già duran-
te i primi anni del Regno di Carlo d’Asburgo, con il prete arienzano Pietro
Contegna, con Costantino Grimaldi e con Pietro Giannone, si era manifestata
una vivissima attenzione ai problemi economici e commerciali. È proprio da
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