dall’interno, nello spazio e nel tempo, la
comune natura delle modificazione della
mente: «Vico, infatti, sostiene che esiste
un modello fisso o un ordine nello svilup-
po delle società umane. La storia è nella
sua struttura, una
storia ideale eterna
, un
modello platonico, una verità eterna che
fa di Vico il fondatore di una nuova scien-
za basata sulla scoperta di una nuova
teo-
dicea
che presenta all’uomo come leggi
inesorabili le regole che Dio ha imposto
nell’atto della creazione» (p. 107).
[R. M]
24. S
TRASSBERG
Daniel,
Das poietische
Subject. Giambattista Vicos Wissenschaft
vom Singulären
, Münken, Fink, 2007, pp.
240.
La categoria della singolarità ha avuto
notoriamente un destino assai accidenta-
to nella filosofia occidentale a partire dal-
l’età moderna. Le teorie ‘vincenti’ della
soggettività hanno pagato il prezzo di
uno svuotamento del singolare, un’aporia
in cui, nella ricostruzione dell’A., appare
dibattersi ancora con vicende alterne il
pensiero post-moderno, e che gli approc-
ci della neurobiologia contemporanea si
limiterebbero a liquidare senza riserve.
Alla ricerca, volutamente controfattuale,
di altre strade possibili, nessuno sembra
prestarsi meglio di Vico, inquadrato nella
categoria un po’ soffusa di ‘illuminismo
prekantiano’, e conclamato
Aussenseiter
rispetto alla linea cartesiana. L’A. si dedi-
ca dunque a un’appassionata lettura del-
l’intera produzione di Vico, non priva di
momenti di ricostruzione puntuale ed
excursus biografici, attraversando con
impegno tutti i grandi temi del pensiero
vichiano: ragione e immaginazione, sa-
pienza poetica, linguaggio, diritto, storia.
Resta tuttavia un percepibile dilettanti-
smo nell’intera impostazione del volume,
e forse anche nella stessa scelta di mobili-
tare Vico per la causa di un concetto di
singolarità che il fitto tessuto di citazioni
non vale a definire più precisamente.
[S. C.]
25. V
ERDICCHIO
Massimo,
Vico letto-
re di Dante
, in «Quaderni d’Italianistica»
XXVIII (2007) 2, pp. 103-117.
Il saggio riprende la questione del
rapporto tra Dante e Vico, e lo fa a parti-
re dalle ‘poche’ interpretazioni critiche
che l’A. conosce a riguardo, vista la con-
siderazione che «la paucità di scritti è
dovuta, con molta probabilità, al fatto
che non c’è molto da dire sul tema oltre
che riassumere la posizione di Vico e il
suo entusiasmo per Dante» (p. 103).
I contributi critici presi in esame da
Verdicchio sono quelli di Francesco De
Sanctis, di Aldo Vallone, e di Glauco
Cambon. Pertanto dopo averne fornito
una succinta analisi (De Sanctis ha inteso
la
Scienza nuova
come un’opera dantesca,
Vallone si è limitato a commentare il giudi-
zio di Vico su Dante, mentre Cambon è
stato l’unico che ha offerto una lettura più
serrata del pensiero del filosofo napoleta-
no riguardo il sommo poeta fiorentino),
l’A. riprende egli stesso quei luoghi nei
quali Vico cita esplicitamente Dante, e
cioè la lettera a Gherardo degli Angioli e
lo scritto sulla
Discoverta del vero Dante
,
«un saggio di incerta data scritto intorno al
1732» (p. 107) afferma Verdicchio, e qui
c’è da chiedersi il perché della certezza di
questa data, visti gli studi di Cristofolini
(2006-2007) che consentono – è vero – di
collocare con esattezza la stesura dello
scritto a dopo o contemporaneamente la
seconda redazione della
Scienza nuova
, ma
che non stabiliscono assolutamente il 1732
come anno di stesura del saggio.
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