L’A. procede quindi a un esame del
Convivio
e della
Commedia
al fine di met-
tere in luce il rapporto tra filosofia e poe-
sia in Dante, e conclude – invero molto
confusamente – affermando che «Vico
non legge Dante ma lo interpreta secon-
do la tradizione e i canoni stabiliti dalla
sua
Scienza nuova
per cui la poesia si
distingue dalla filosofia secondo un pro-
cesso storico che vede la prima come una
forma primitiva della seconda. Questa
distinzione ha fatto la fortuna di Vico da
Croce fino ai giorni nostri perché, in que-
sto modo, ha fatto sì che chi prende la
Scienza nuova
alla lettera la ripete diven-
tando l’autore della sua favola» (p. 114).
[A. Scogn.]
26. V
ICO
Giambattista,
Il metodo
degli studi del nostro tempo
, introd. e cura
di F. Lomonaco, Napoli, ScriptaWeb,
2010, pp. 277.
L’edizione anastatica del
De nostri
temporis studiorum ratione
, con la tradu-
zione italiana a fronte di M. Di Benedetto
(G. Vico,
Opere filosofiche
, introduzione
di N. Badaloni, a cura di P. Cristofolini,
Firenze, Sansoni, 1971), approntata da
Fabrizio Lomonaco in occasione del terzo
centenario della stampa dell’Orazione
recitata da Vico all’inaugurazione dell’an-
no accademico dei Regi Studi del 1708,
oltre alla bella vesta editoriale è accompa-
gnata da una densa introduzione del cura-
tore che offre una guida sicura al lettore
interessato a cogliere il complesso intrec-
cio di nuclei tematici confluiti nella rifles-
sione del filosofo napoletano sul «metodo
degli studi». Innanzitutto, va ricordato il
clima di aspettativa suscitato nel mondo
intellettuale partenopeo dal mutato qua-
dro politico, segnato dalla successione
austriaca al governo spagnolo. Se ne avver-
te l’eco nel
De ratione
, laddove il filosofo,
pur prendendo le mosse dalla comparazio-
ne del metodo degli studi degli antichi e
dei moderni, ne valuta i rispettivi vantaggi
e svantaggi nella prospettiva di una riorga-
nizzazione pedagogica dell’università de-
stinata a fornire strumenti adeguati alle
nuove generazioni per affrontare la vita
pratica, sorretti però da una visione unita-
ria del sapere funzionale alle esigenze dello
stato. «La nuova
ratio studiorum
non per-
segue l’esteriore comparazione tra metodo
degli antichi e quello dei moderni né una
sterile difesa della cultura umanistica.
Propone, invece, di assumere sul piano di
una pedagogia politica attiva la consape-
volezza dell’utilità sociale della scienza,
raccordata alla funzione del senso comu-
ne» (p. 21). In questa prospettiva il con-
fronto critico tra antichi e moderni punta
a fare emergere pregi e difetti dei rispetti-
vi metodi attraverso l’analisi degli stru-
menti, sussidi e fine delle singole discipli-
ne. In particolare, la superiorità del meto-
do induttivo-sperimentale della scienza
moderna, che tanti ottimi risultati ha rag-
giunto nelle singole scienze, è compromes-
so dal mancato riconoscimento dei limiti
dell’intelletto umano e dalla conseguente
pretesa di poter ridurre la complessità del
reale ai canoni dell’astratta ragione calco-
lante imposta a modello dell’intero sapere
umano. Alla critica antropologica dello
statuto della scienza moderna, Vico affian-
ca la proposta di un modello di sapienza
che è nel contempo conoscenza e pruden-
za, adeguato alle finalità pratiche e civili
dell’educazione e che affonda le sue radici
nell’esemplarità della storia del diritto
romano, cui è dedicata l’ultima parte del
De ratione
e che in particolare si rivolge a
chi si avvia non già «alla fisica e alla mec-
canica, ma si prepara alla vita politica».
[R. M.]
AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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