GUSTAVO COSTA
26
Scrittura. Gli studi ecclesiastici avevano fatto e continuavano a fare
notevoli progressi oltralpe, ma segnavano il passo a Roma.
Galiani e i suoi amici non erano libertini mascherati, ma semplice-
mente dei cattolici desiderosi di accogliere le esigenze della moderna
critica biblica. Erano insofferenti della censura pontificia, perché impe-
diva il loro programma di rinnovamento culturale, ma non erano in favo-
re della tolleranza. Tant’è vero che non esitavano a denunciare all’Inqui-
sizione i loro antagonisti. Ma il partito progressista (si fa per dire) fu
sconfitto dal partito conservatore, cui andava la simpatia del Papa
(Clemente XI) e della Curia. Galiani, messo con le spalle al muro, scelse
una soluzione pragmatica: rinunciò a pubblicare per esigenze di carriera.
Non è credibile che il calvario di Galiani, protrattosi dal 1710 al
1714, fosse ignoto a Napoli, quando Vico gli scrisse nel 1725. Le idee
agitate nelle
Theses
erano note e largamente dibattute (con gli schermi
necessari per proteggersi dalla onnipresente censura ecclesiastica).
Galiani aveva tentato di accreditare una critica biblica, che aveva le sue
radici nel pensiero di Spinoza, di Hobbes e di René Simon. In questo
senso va inteso l’accenno di Vico alla «Critica Filosofica», che costitui-
va uno dei pregi del monaco celestino. Ad essa si univano una «Erudi-
zione Universale», ossia una straordinaria capacità di dominare una va-
sta gamma del sapere, e una «corrispondente Pietà». In altri termini,
Galiani era dotato di cultura enciclopedica, e, ad onta dei suoi proble-
mi con la Congregazione dell’Indice, era profondamente religioso, sia
pure di una religiosità più vicina a quella dei gallicani e dei giansenisti
d’oltralpe, nei quali i conservatori della Curia vedevano la quinta co-
lonna degli aborriti protestanti.
Vico ammirava Galiani, perché la sua pietà non aveva nulla a che
vedere con il cattolicesimo superstizioso del popolino napoletano. Il fi-
losofo, infatti, non nutriva alcuna simpatia per i numerosi frati di Na-
poli, che nuotavano nelle ricchezze («coenobitae, qui in urbe frequen-
tissimi opibus affluunt»)
10
. Ai frati napoletani, oziosi e amanti degli agi,
Vico preferiva di gran lunga i francesi, che conducevano una vita pove-
ra e dura, accontentandosi dello stretto necessario, e coltivando seria-
mente gli studi («in Gallia coenobitas in litteras prorsus alias intentos,
contracte ac duriter vitam agere»)
11
. Che genere di studi? Soprattutto
10
G. V
ICO
,
La congiura dei principi napoletani, 1701 (Prima e seconda stesura)
, a
cura di C. Pandolfi, Napoli, 1992, p. 60.
11
Ibid
.
1...,16,17,18,19,20,21,22,23,24,25 27,28,29,30,31,32,33,34,35,36,...220