FULVIO TESSITORE
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dei rapporti tra illuminismo e storicismo, lontana dalle tradizionali con-
trapposizioni, ma anche da assai discutibili proposte ermeneutiche del
tipo «illuminismo storicistico» o «storicismo illuministico». Spero che
i «lettori leggenti», quelli che Vico soli stimava, possano essere interes-
sati da questo intervento, che ha, o presume di avere, una dimensione
programmatica, di chiara scelta d’un modo di fare storia della filosofia
e di leggere Vico, oggi, nella sua «attualità» ripugnante ad ogni forma
di «attualizzazione».
1. Mi spiace dovere dissentire assai nettamente da Zeev Sternhel, che
non è solo considerato un autorevole studioso dei fascismi novecente-
schi e delle origini e dello sviluppo dello Stato di Israele. Egli è anche,
di certo, un noto esponente di «Peace now», il movimento che opera
per una pacificazione tra israeliani e palestinesi, nel quale Sternhel oc-
cupa una posizione critica nei confronti della politica dello Stato ebrai-
co, di cui rivendica la indiscutibile fondatezza morale prima e ancor più
che politica e, tuttavia, proprio per questa convinzione, riconosce il
diritto alla libertà e all’indipendenza del popolo palestinese, indivi-
duando, lucidamente, nel «prezzo morale e politico che la società israe-
liana è disposta a pagare per superare la resistenza opposta dal duro
circolo dei coloni», la chiave di volta per conseguire una soluzione giu-
sta e ragionevole dell’ormai tragica questione mediorientale. Queste
posizioni gli procurano opposizioni violente e persino attentati perso-
nali, che, a loro volta, sono esecrabili esempi di ottusa intolleranza e
testimoniano il drammatico progressivo fallimento del nobile disegno
laburista di laicità dello Stato di Israele pur nel rispetto rigoroso della
identità ebraica.
Forse anche dall’amara delusione e dalla preoccupazioni circa l’effet-
tuazione delle sue generose e sagge idee politiche è nato il suo libro
Les
Anti-Lumières. Du XVIIIe siècle a la guerre froide
(Paris, Fayard 2006),
che non è una ricerca di storia delle idee quanto un arruffato
pamphlet
,
che non esita a utilizzare largamente schematismi storiografici, semplifi-
catori, quando non addirittura rozzi, senza il gusto delle distinzioni ne-
cessarie per capire e per farsi capire, in fedeltà alla filologia come scien-
za storica. Il libro è senza attenzione per i connotati diversi di varie e pur
talvolta simili concezioni culturali e, se si vuole, ideologiche, lasciando-
si dominare da una pregiudiziale ipotesi ricostruttrice assunta aprioristi-
camente come chiave di lettura della modernità post-illuministica. Né
dico alcunché della periodizzazione prescelta, che appare piuttosto
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