DI VICO E DI ALTRI STORICISTI
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tedesca per eccellenza non è però limitata alla Germania: è un fenomeno
europeo» (p. 152), come tale studiato da Meinecke. Di questo studio
Sternhel dà una sintesi con esclusiva attenzione per
Die Entstehung
, ossia
senza alcuna preoccupazione per le due opere precedenti della trilogia
meineckiana. Né per
Weltbürgertum und Nationalstaat
– che pure avreb-
be fatto al suo gioco anche se trascurando (come è infatti trascurata: cfr.
p. 168), la troppo sottile distinzione tra
Nationalstaat
e
Culturstaat
– né
per
Die Idee der Staatsraison
, come si vede a proposito di quanto Sternhel
dice del Machiavelli di Meinecke, senza neppure il sospetto di quel che
lo storico tedesco aveva scritto sul pensatore italiano, che forse, rigore sto-
riografico a parte, avrebbe fornito qualche elemento, pur impropriamen-
te adoperato, al gusto sternheliano per i confronti operati attraverso
somiglianze formali indifferenti alle contestualizzazioni cronologiche,
tematiche e metodologiche. In ogni caso, del tutto ignaro del senso e valo-
re della storiografia epocale e non categoriale di Meinecke e, ancor meno,
della meineckiana rivalutazione (sì,
rivalutazione
, specie, ad esempio,
rispetto alle proposte idealistiche e post-idealistiche) della storiografia
illuministica, per Sternhel l’attenzione del maestro tedesco per l’indivi-
duazione voltairiana del ruolo delle forze sociali a sostegno dell’azione
storica della nuova borghesia interessata a soddisfare i bisogni di una rin-
novata vita terrena; ovvero le altre proposte intorno al ruolo che Voltaire
assegnò alle scoperte naturalistiche e matematiche e al moralismo, che
atteggiano antidogmaticamente la legge morale a sostegno della società
civile secondo i caratteri di una legge meccanica, diventano, volta a volta,
l’espressione delle accuse meineckiane a Voltaire di «non comprendere la
vita autonoma degli organismi storici sorti dallo spirito umano», ovvero
della infida convinzione meineckiana che l’idea voltairiana dello Stato
«forte e indipendente» non sia altro che «un principio basato su un egoi-
smo individuale e di classe» (p. 156). Il fatto è che per Meinecke il «cen-
tro del male» sta nell’ «abisso che separa il grande impero dell’irraziona-
le e il piccolo reame della ragione», abisso «aperto dalla psicologia mec-
canicistica dell’Illuminismo», detestato dal Meinecke. Non diversamente
la tesi meineckiana della ripresa da parte di Montesquieu della machia-
velliana idea della ragion di stato quale base per l’analisi empirico-com-
parata della politica, che, in tal modo, scopre l’infinita varietà delle cause
operanti nella diversità degli interessi sociali e nella molteplicità dei tipi
istituzionali, diventa per Sternhel la «difficile classificazione» di
Montesquieu da parte dell’ «ammiratore di Bismarck» che «disprezza
particolarmente l’idea secondo cui lo Stato avrebbe origine e legittimità
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