FULVIO TESSITORE
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in un contratto sociale». Per Meinecke il «pragmatismo di Montesquieu»
è rimasto prigioniero di un quadro concettuale insieme meccanicistico e
utilitaristico, che impedisce all’autore dell’
Esprit de lois
di attingere il
«problema del realismo, componente essenziale dello storicismo», a ca-
gione del suo «razionalismo», «ostacolo insormontabile» a «guardare gli
aspetti particolari delle età e delle nazioni», attribuendo, al contrario, al
«razionalismo» «semplificazioni grossolane» (pp. 157-158). Tali appaio-
no le analisi montesqueiane del Meinecke, a giudizio di Sternhel del tutto
privo del gusto sottile delle distinzioni, le quali, talvolta, come si sa, sono
state addirittura rimproverate allo storico tedesco dalla storiografia suc-
cessiva quale prova di una storia delle idee troppo fine, tanto da potersi
risolvere nel gioco di colorate palline di vetro. Ma si tratta, è evidente, di
sottigliezze inutili per il pamphlettista ebreo. Non conta, e in ogni caso
non è possibile qui fermarsi, sia pur per accenni, sulle ricercate pagine dal
Meinecke dedicate alla storiografia inglese (da Hume a Robertson, da
Gibbon a Ferguson) o ad altri scrittori francesi (da Condorcet a Mallet
Dupan). Basta solo ricordare come per Sternhel il centro dell’interesse di
Meinecke è attratto soltanto da Burke e da Herder. «Per Meinecke pas-
sare da Hume a Burke è come guardare un paesaggio prima con la luce
flebile e fredda dell’alba e poi con i primi raggi di sole di un caldo matti-
no» (p. 163). Sarà pur vero che Meinecke definisce quello di Burke un
«tradizionalismo rivitalizzato ma non ancora storicismo» (p. 164), l’im-
portante è la critica burkiana alla rivoluzione francese e l’apogeo di una
costituzione non scritta come quella inglese contraddittoriamente propo-
sta, ad esempio, ai rivoluzionari francesi, l’uno e l’altra contributi alla
«liberazione dalle norme universali e dalla sovranità della ragione» (pp.
164-166). Il che trova il proprio apice consapevole in Herder, progenito-
re del nazionalismo e del fascismo (cfr. spec. pp. 219-243, 409-476 e pas-
sim). Di tutte queste numerose pagine, che sostanzialmente ripetono
tutto quanto abbiamo sin qui sentito, mi limito a citare un solo punto.
Herder aveva «saccheggiato» Montesquieu «nel modo più vergognoso»
a proposito della idea di
Volksgeist
, il che Meinecke cerca di nascondere,
egli che pur «cita Montesquieu con riverenza», preferendo rimandare per
quanto attiene alle tradizionali interpretazioni della dottrina di
Montesquieu relativa allo spirito popolare, ad un’opera di un autore
misterioso, almeno per lo Sternhel, che ricorda soltanto il titolo di un
libro
Hegel und der Staat
del 1920 (cfr. pp. 229-230). Mistero che è sol-
tanto una pietosa resistenza a citare esplicitamente l’autore dell’opera,
trattandosi, come si sa, dell’ebreo Rosenzweig, che, ahimè, era stato allie-
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