FULVIO TESSITORE
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coloro che non «hanno mai smesso di modellare la visione di un
Carlyle, di un Renan, di un Taine, come di un Croce o di un Meinecke»
(p. 37). A ciò servirono bene il fascismo e «la religione vista come uno
strumento di salvezza sociale» (
ibid.
) e noi sappiamo, grazie a Sternhel,
che Croce era un «cattolico convinto» come Sorel. Tant’è che Croce
votò la fiducia a Mussolini anche dopo il delitto Matteotti; che «il moti-
vo del suo manifesto degli intellettuali antifascisti sta più nel suo disac-
cordo con Gentile che in una volontà di resistenza al fascismo» (p.
507), senza poter vantare neppure la dignità di «un altro nemico della
democrazia, uno dei più famosi esponenti della ‘rivoluzione conserva-
trice’, Moeller van den Bruck, che all’epoca di Weimar si uccide, tanto
gli è insopportabile la degradazione della Germania caduta nelle mani
dei liberali e dei democratici» (p. 507). Al contrario Croce, di cui ormai
conosciamo bene il contributo dato all’ascesa al potere di Mussolini, e
il ruolo, in tale direzione, svolto in Italia, analogamente a quello in
Germania promosso da uno Spengler, uno Schmitt, da uno Jünger e dal
sullodato Moeller van den Bruck, poteva restare comodamente siste-
mato nella propria casa, mentre Gramsci era «liberato solo per non
farlo morire in carcere» e senza che «alcuna reazione» avessero suscita-
to in Croce «le durissime condizioni della detenzione del comunista».
Insomma una opposizione di comodo, come si addice a un criptofasci-
sta, sembra suggerire l’ineffabile Sternhel, il quale ci spiega finalmente
la vera motivazione della ‘storicistica’ lettura crociana di Vico, non si
capisce bene se provocata dal ‘vichismo’ di Sorel, ma certamente ispi-
rata dall’odio contro la democrazia coltivata dall’ «Illuminismo franco-
kantiano», del quale Vico era stato un antiveggente sollecito opposito-
re, poi seguito da Herder, tanto apprezzato da Meinecke e, dopo
Croce, da Berlin. Se ne vuole una prova inconfutabile? Basta fare atten-
zione al capitolo XVII de
La filosofia di G. Vico
, dedicato a «La storia
di Roma e la funzione della democrazia». Ebbene, questo importante
capitolo «completa, andando indietro di duemila anni e prima della sua
proiezione in avanti, il processo alla democrazia» (p. 501). Sembra
forse troppo prevedere duemila anni di precorrimenti? Non scherzia-
mo: tutta la storia dell’Occidente (quando non del mondo intero) è
funzionale all’opposizione alla democrazia ispirata dall’«Illuminismo
franco-kantiano». E d’altra parte non ha scritto Croce, nel fatidico
marzo 1924, che «fare poesia è un conto e fare a pugni è un altro»?
«Chi non riesce nel primo mestiere non è detto che non possa riuscire
benissimo nel secondo, e nemmeno che la eventuale pioggia di pugni