FULVIO TESSITORE
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lunghissimo
pamphlet
, l’ormai affaticato, stanco e annoiato lettore
potrebbe soltanto compiere un atto di indisciplina e chiudere qui il
proprio contributo alla diffusione delle idee sternheliane. Il che è cer-
tamente impossibile e però possibile è procedere più rapidamente a
proposito delle pagine su Berlin.
Del resto Berlin non è un meineckiano convinto, come mostra la sua
introduzione alla tarda (1972) traduzione inglese della
Entstehung
e non
è un non meno convinto ammiratore del Vico crociano e di Herder?
Tutto si tiene nella «storia delle idee» categorialmente ispirata dello
Sternhel, si potrebbe dire, ancor qui da discolo, nei quadri di una sto-
ria narrata
en philosoph
(ossia filosoficamente ispirata e condotta con
immarcescibile gusto antiquario). Naturalmente senza offesa della filo-
sofia, davvero trattata all’ingrosso. Devo riconoscere (e lo faccio con
piacere), che la trattazione delle tesi berliniane è più accurata di quella
riservata a Meinecke e a Croce. È evidente, finalmente, un più diretto
accesso ai testi e alla letteratura critica secondaria, perché si tratta di
ambiti culturali praticati con più scaltrita
institutio
dallo Sternhel, che
è esperto dei limiti e delle ambiguità delle tesi berliniane a partire da
quella, famosa e fondante, della drastica, troppo drastica distinzione tra
«libertà negativa» e «libertà positiva». Non analoga perspicuità è riser-
vata ai complessi problemi del monismo e del pluralismo, dello storici-
smo e del relativismo che quella distinzione implica e ha implicato per
il Berlin, non sempre all’altezza delle questioni, che hanno attraversato
alcuni secoli di «avventure delle idee». Il guaio è che le più precise in-
dagini (cfr. in part. pp. 574-588) in grado di porre interrogazioni, pur
non originali ma imprescindibili dinanzi alla manifesta ambiguità dello
stesso Berlin, servono allo Sternhel per proseguire nella polemica astio-
sa, viziata dal pregiudizio dell’impreciso «Illuminismo franco-kantia-
no». Basti leggere frasi come le seguenti, e mi scuso per le lunghe cita-
zioni. «Il fascino esercitato dall’attacco storicista contro l’Illuminismo
francese si manifesta negli anni ’50 sulla generazione della guerra fred-
da. È allora che si forma la scuola totalitaria della quale Isaiah Berlin,
affascinato da Vico ed Herder ma anche da Machiavelli, ammiratore di
Meinecke e stroncatore di Rousseau, più vicino a Burke che a Tocque-
ville e a J. Mill, è una colonna portante». «L’autore di
Vico and Herder
applica le critiche e i princìpi comuni alle tre generazioni che avevano
portato avanti il rifiuto della modernità razionalistica e di una visione
ottimistica del progresso dell’umanità alla situazione di un mondo sul
quale aleggia la minaccia bolscevica, facilmente concepita come una
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