FULVIO TESSITORE
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tano soltanto gli ormai pericolosamente numerosi «neo-con» incolon-
nati e foraggiati da «neo-teologi», insieme ottusamente e pervicace-
mente sostenitori di una rinnovata, antistorica crociata «cristiana»,
contro ogni forma di rispetto, tolleranza e comprensione delle differen-
ze di diverse identità. Per sconfiggere queste ciniche forme di totalita-
rismo politico e religioso è necessario saper distinguere gli «illumini-
smi» e gli «storicismi», ricordando e ripensando tentativi come quelli
di Dilthey, di Cassirer e di Meinecke, diversamente intenzionati a supe-
rare le rigide contrapposizioni della storiografia categoriale, quella
delle culture e dei secoli «l’un contro l’altro armati» in attesa del Fato
risolutore, che, in realtà, non risolve e procura soltanto nuove confusio-
ne, nuove intolleranze e nuove sofferenze. Dilthey, Cassirer, Meinecke
tentarono di capire le differenze ma anche le convergenze tra epoche
diverse e, tuttavia, non astrattamente contrapponibili in quanto l’epo-
ca è un campo di forze dialetticamente interagenti, tra eredità del pas-
sato, novità del presente e previsione del futuro. Il loro era il tentativo
di fondare la modernità – secondo la tesi di Troeltsch che nel Sette-
cento vedeva finalmente estinguersi il medioevo – o, meglio, una nuova
stagione della modernità, quella che, dopo Umanesimo e Rinascimento,
incontrava, con Cassirer la ‘scoperta’ settecentesca del ‘mondo storico’,
grazie alla ‘filologia’ (da Simon a Bayle, da Heyne a Wolf e Humboldt)
e alla scienza storica come scienza etica sia ‘illuministica’ sia ‘storicisti-
ca’, almeno in ciò, nella individuata esigenza della lettura storica delle
umane cose, convergenti e non divergenti in nome sia pure di una
diversa idea di ragione. Non a caso, come accadde nella stagione
nostrana del ‘neo-illuminismo’, la fine esigenza e la difficile individua-
zione dei maestri poco sopra ricordati venne contestata, preferendosi
continuare ad usare, capovolta, l’antitesi idealistica razionalismo-irra-
zionalismo, dove il primo era considerato l’assoluto e il secondo tutto
ciò che fuoriesce dal cono d’ombra dell’altro. L’Illuminismo, studiato
nella consapevolezza che egli stesso ebbe dei ‘limiti della ragione’, e lo
Historismus
, investigato nelle sue dimensioni critiche e problematiche,
non idealisticamente assolute, proprio questi diversi significati di ragio-
ne andavano cercando per rafforzare e non indebolire la modernità
quale età di ‘conflitti’ e non di ireniche armonie, queste sì foriere di
nuovi, esecrandi totalitarismi. La complessa, difficile, composita lette-
ratura delle critiche liberali alla democrazia, che da Burke a Constant,
da Cuoco a Tocqueville va fino a Croce e a Thomas Mann a quella, tal-
volta farraginosa, della temuta
finis Europae
(da Ortega a Jaspers a
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