DI VICO E DI ALTRI STORICISTI
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Lévinas, passando per i ‘ravveduti’ Croce e Thomas Mann), è da stu-
diare cercando di perseguire e conseguire completezza di informazione
e attenta individuazione delle specificate differenze, restando rigorosa-
mente fedeli al momento della particolarità. Proprio il contrario di
quanto ritiene che vada fatto Zeev Sternhel, con la sua singolare inter-
pretazione della «History of Ideas».
Il fatto è che di fronte alle difficoltà, apparse inquietanti, imposte
dallo storicismo in senso rigoroso e radicale, non si è ancora disposti ad
accettarne le sfide e, persino, a conoscere i rischi di queste sfide. Sem-
bra incredibile ma è così, e perché e così si parla tanto frequentemente
di crisi dello storicismo per esorcizzarlo e liberarsene almeno
in votis
.
Nella lunga storia della gestazione e maturazione dello storicismo non
sono mancati (anzi sono stati numerosi) gli ‘indietreggiamenti’ dinanzi
all’acquisita consapevolezza delle conseguenze delle rivendicazioni
compiute, a fil di logica e in base alla realistica interpretazione delle
vicende storiche, osservate nelle loro instancabili modificazioni ed evo-
luzioni (che talvolta sono involuzioni), ma pur sempre movimenti, giac-
ché la storia immobile non può essere se non nella fantasia dei filosofi,
di essa al tutto ignari e che pur di essa parlano continuamente. Tipico
è il caso del maggior filosofo dello storicismo, Wilhelm Dilthey, che
sembrò chiudersi in una debole difesa (perché insincera, non voluta e
non creduta) dinanzi alle contestazioni del più giovane e vigoroso
Husserl. Ed iniziò allora, si può ben dire, la lunga storia delle infonda-
bili distinzioni tra ‘storicismo buono’ e ‘storicismo cattivo’, durata fino
a Troeltsch ed oltre. La lunga storia del dire e del negare. Tipici, ancor
qui i casi di Husserl e di Heidegger. Di Husserl è indubbia l’attenzione
per l’origine dei concetti logici che deve ricavarsi da intenzioni che
sono la concreta ‘esperienza vissuta’ della coscienza (
Erlebnis
, dice pro-
prio così il filosofo della fenomenologia con evidente riferimento a
Dilthey) al fine di garantire una «fenomenologia dei vissuti logici in
grado di
riflettere
e cioè rendere oggetti gli stessi atti intenzionali e il
loro contenuto di senso immanente». Né minore rilevanza ha in lui la
valenza intersoggettiva della soggettività, che giunge fino a riconoscere
che «io sono, di fatto, in un presente co-umano e nell’orizzonte aperto
dell’umanità io mi so di fatto in un legame generativo, nel flusso unita-
rio della storicità». E tuttavia, non soddisfatto neppure di questa stori-
cità unitaria comprendente (tanto poco storicistica), egli si mostrò pre-
occupato non solo di salvare da ogni esito psicologistico i «fatti» o di
confondere «il significato logico che nei fatti si manifesta ed è di natu-
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