DI VICO E DI ALTRI STORICISTI
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non come rispecchiamento di un
vero
sussistente nell’eterna presenzia-
lità di sé a sé, ossia compiutamente autoreferenziale, ma nella costru-
zione e sperimentazione nuova del fatto, che consegue la propria razio-
nalità (o senso) nella consapevolezza della responsabilità dell’azione
nella sua funzionalità, che è la eventualizzazione del fatto, la struttura-
zione dell’evento. Allo stesso modo e nella stessa direzione non s’è ra-
gionato fino in fondo il significato di ideazione matematica dei vichia-
ni punti metafisici, ricondotti ad un impianto tradizionalisticamente
non confacente alla irrequieta ricerca galileiana di Vico. Di conseguen-
za non si è riflettuto a sufficienza, se non nel senso sbagliato di veder-
ne la insolubile contraddittorietà, sulla distinzione tra etica della
responsabilità ed etica della intenzione, che Weber non vedeva e non
voleva sganciate ma dialetticamente ricomposte in una mediazione che
non era (e non poteva essere) la mediazione ontologica hegeliana inte-
ressata a riconoscere come positivo solo il medio, condannando i ter-
mini singoli e concreti in quanto
immediati
a risolversi come negativi
nel positivo in sé e per sé.
Oggi siamo a questo punto. Dinanzi alla dissoluzione strutturale ed
antropologica causata dal rifiuto di prendere conto del significato rin-
novato di struttura, di antropologia, di ragione, di conoscenza, un’ottu-
sa teologia, che colloca in posizione ancillare la filosofia, disperatamen-
te cerca di nascondere il proprio programma di restaurazione conser-
vatrice (del più
normalizzato
tomismo) in meschini quanto inquieti
compromessi alla ricerca di una mediazione che non c’è, e perciò ripro-
pone il nesso di
fides
e
ratio
, attribuendosi la definizione e la gestione
dell’una e dell’altra in nome di una centralità dell’uomo in quanto
genere e non particolare, in quanto titolare d’una sovranità limitata nel-
l’uso della propria razionale libertà (il vecchio libero arbitrio), che non
ha altra scelta o di aderire al vero che qualcuno gli rivela o di sprofon-
dare nell’abiezione del peccato, nel nichilismo, nel relativismo, nello
storicismo interpretati nelle modalità più volgari e più indotte. La con-
seguenza è anche lo smarrimento del senso profondo della
fides
, come
suprema espressione della responsabile e libera esperienza, l’esperien-
za della preghiera dell’individuo governato dalla propria coscienza, con
inquieta ricerca costante della propria costitutiva alterizzazione e cioè
storicizzazione esistenziale come co-esistenza, vale a dire il significato
della
identità
(delle identità) non sganciata dal rispetto della
differenza
(delle differenze). Nel che, in virtù di una dialettica senza sintesi e per-
sino conflittiva in quanto scelta difficile tra valori diversi, può soltanto