FULVIO TESSITORE
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mentre non è vero, non è possibile, non è dato il contrario. Del resto
questo è anche un principio di Vico, che Nuzzo ha elegantemente
ragionato, quello cioè di tenere insieme ‘particolare’ e ‘universale’
senza assorbirli o soltanto ‘risolverli’ al fine di conseguire il ‘vero-giu-
sto’ soddisfacente l’urgente ‘utilita delle cause’, attraverso le ‘ultime
circostanze de’ fatti’. In ciò credo che Nuzzo ed io convergiamo in un
comune sentire storicistico (che per me è una filosofia, come, forse,
non è per Nuzzo, più prudente, tanto forte è in lui la preoccupazione
che, accettando una filosofia sempre sistematizzante anche quando
non sistematica, si perda il gusto del vario, del diverso, del molteplice).
E Nuzzo – come sa chi legge da sempre i suoi lavori – è un lettore onni-
voro, curiosissimo e, solo in quanto tale, è uno studioso rigoroso. La
seconda osservazione, da questa prima dipendente, è che il lavoro di
Nuzzo procede per ‘lumi sparsi’, se così, nobilmente, può definirsi il
lavoro monografico. Nuzzo ha difficolta a immaginare un libro che
non sia fatto di parti monografiche, anche qui per il gusto e senso del
‘piccolo’, condizione del ‘grande’. Ed allora è agevole fare una costata-
zione semplice dinanzi a questa seconda raccolta di saggi vichiani. Ed
è la rilevazione dell’
unità
, la rigorosa
unità
di queste pagine, le quali,
dunque, compongono il libro, il solo libro che a Nuzzo piace, che egli
sa scrivere, perché gli pare che sia degno di essere scritto. Quanto sia
vera questa mia impressione è dichiarato, implicitamente ed esplicita-
mente, dalla ‘introduzione’ a questo
Tra religione e prudenza. La filoso-
fia pratica di Vico
, che Nuzzo stesso, non a caso, definisce ‘anomala’
perché poco introduttiva e molto dichiarativa ad illustrare il precipita-
to di un ragionamento, di una indagine che, per pratica filologica, nulla
concede alla chincaglieria dell’ermeneutica ontologica antistoricistica,
ferocemente critica per incomprensione della diversa ermeneutica sto-
ricistica da Schleiermacher a Dilthey, e dopo Dilthey, fraintesa per
inguaribile aspirazione neo-metafisica. Mettendosi fuori della storia,
nonostante fortune rumorose, immeritate. Ed ancor qui, se ho ben
visto, io concordo con Nuzzo e concordo profondamente alla luce del
lavoro che una intera e intensa vita di studi – se troppo non presumo
– ha progressivamente progredientemente maturato e configurato.
Fino al punto, giungo a dire, che la mia filosofia dello storicismo è
diventata una ‘filosofia storicistica’, un modo di pensare, un costume
di vita, un’attitudine comportamentale. Per tutto questo, almeno per
me, è impossibile seguire le infinite tracce del discorso unitario di
Nuzzo, interprete della ‘filosofia pratica’ di Vico. Posso soltanto, e lo