NOTE SU
TRA RELIGIONE E PRUDENZA
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preferisco, fermarmi su un profilo, che sottopongo alla discussione di
Nuzzo, se egli lo riterrà degno di discussione.
Va di certo condivisa la centralita della ‘pratica’ nella riflessione vi-
chiana, sapendo distinguere questa determinante tematizzazione da
ogni esclusivistica traduzione di essa nel disegno di una ‘politicità’ che
assegni al filosofo la preoccupazione di farsi interprete dei contingenti
bisogni dei suoi concittadini, come se la centralità del politico non aves-
se la sollecitazione che il richiamo all’‘utile’ e all’‘interesse’ non resti
chiuso in sé, per concretizzare, al contrario, la ‘vis veri’ in vista della ci-
vile e ragionata ‘socievolezza’, ch’era, come ben dice Nuzzo, il criterio
delle ricorrenti lotte attraverso cui i soggetti piu deboli, le ‘moltitudini’,
le ‘plebi’, in quanto soggetti collettivi, miravano ad affermare la propria
sete di ‘giustizia’, di ‘equita’, di ‘verità’, insomma una storicissima di-
mensione metapolitica della ‘pratica’. In tal senso ritengo esatto il com-
mento di Nuzzo per il quale la dimensione non ‘contemplativistica’ o
‘teoreticistica’ di Vico, proprio in quanto la sua ‘politica’ è quella or ora
riassunta, non collide con un impegno rigorosamente speculativo rivol-
to alla costruzione di una nuova, originale «scienza dei caratteri di uni-
versalità e necessità delle sequenze di sviluppo del dinamico ‘mondo
civile delle nazioni’». Del resto Vico ci ha detto della sua opzione per
una ‘filosofia politica’ capace di stare nel ‘foro’, tra la ‘feccia di Romolo’
contro l’oziosità della ‘filosofia monastica’ e però si tratta di
filosofia
non
di prassi politica,
filosofia storicissima
nel senso d’essere costruita sulla
ricostruzione della storia di Roma, quale metro di storicissimi ricorsi.
Non credo, tuttavia, che ciò consenta di attribuire a Vico la preminenza
delle ‘pruove filosofiche’ su quelle ‘filologiche’ e ‘istoriche’. Queste sono
‘ultime’ e non possono non essere tali nell’accezione ambivalente che ne
dà Vico, ossia nel senso non solo cronologico nell’uso metodologico del
discorso indirizzato a segnare ‘la regola della vita sociale’ e i ‘confini del-
l’umano ragionare’, bensì anche e soprattutto nel senso logico (direi, se
non detestassi i precorrimenti, delle kantiane ‘cose ultime’) di criteri e
forze definitorie della scienza, la quale ‘vien da essere definita una filo-
sofia dell’autorità (che per Vico, viene da
autòs
), ch’e il fonte della ‘giu-
stizia eterna’, la quale si affianca alla ‘giustizia interna’, della quale si
‘soddisfano gli intelletti’, capaci ‘del vero e della ragione’. La ‘giustizia’,
dunque che nasce dalle cose, dai bisogni, dagli interessi degli uomini e
non viceversa. Sfondo, quadro, campo di tutto ciò è la religione, il pro-
blema davvero determinante della filosofia di Vico, da intendere come
‘la religione in Vico’ e la ‘religione di Vico’, inscindibili.