MAURIZIO CAMBI
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Per cominciare: l’eroismo per Vico non possiede i caratteri ‘forti’
dell’iconografia tradizionale. Non ha «il carattere individuale dell’eroe;
il suo agire per ‘gesti’, ‘gesta’ […] di straordinario valore e splendore a
vantaggio di una comunità; il suo agire sulla spinta dell’amor di gloria
o fama immortale, o comunque almeno di consapevole volontà» (p.
120). Già nella prima età, al suo manifestarsi, l’eroismo non è ricondu-
cibile alle individualità riconoscibili dei singoli, ma è rapportabile alla
funzione meritoria di coloro («gli eroi contadini», «i padri-signori»)
che, con le loro imprese («l’uccider fiere», «domar terreni»), hanno
segnato la via (sulla quale hanno perseverato le generazioni successive)
di un incivilimento inteso come «trarsi fuori dalla natura, e continuare
a distanziarsene, a contenerla e possederla» (p. 139). Si tratta di un
eroismo ‘politico’ non ripiegato vanagloriosamente su di sé ma orienta-
to verso azioni ‘soccorrevoli’ necessarie a difendere e proteggere gli
umili membri della consociazione («deboli, erranti e soli»).
Né erano così importanti i nomi e le gesta dei singoli
heroes bello-
rum
durante la seconda età dell’eroismo civile e guerriero. La loro con-
dotta di spietata e crudele oppressione (è la forma di eroismo «meno
soccorrevole») sui deboli, però, ha spinto «dialetticamente questi a
prendere consapevolezza dei propri diritti» (p. 142).
Nell’età degli uomini (la terza), in cui emerge la singolarità e il con-
solidamento della «tradizione della biografia eroicizzante» (Guicciardi,
Mazzarino), l’eroe di Vico resta fedele all’anonimia e all’oscurità della
sua (utilissima) azione. Non ci si faccia sviare – scrive l’autore – dalla
«aggettivazione vichiana che accompagna i grandi protagonisti della
storia intellettuale della modernità […] (il ‘sublimis Galilaeus’,
l’‘ingens Chartesius’, il ‘magnus Hugo Grotius’)»; l’eroe «filosofico» di
Vico (modulato sulla sua stessa riservatezza e sulla separatezza della sua
vicenda biografica) si confonde tra gli uomini sapienti e prudenti con-
tribuendo fattivamente (senza ricercare rumorose ribalte) all’elevazio-
ne dell’intero genere umano. Si tratta di «eroi dell’agire costante e labo-
rioso, e non dell’azione, del gesto, dell’evento irripetibile», i quali ope-
rano nelle «università», nelle «accademie», nei «gabinetti» del princi-
pe, o come «giureconsulti» per amministrare «una giurisprudenza
benigna» (pp. 138, 145). Figure e istituzioni nelle quali si oggettiva il
carattere divino della
mens heroica.
Com’è lontano dai ‘modesti’ eroi filosofici vichiani l’eroe del quale,
negli
Eroici furori
, Bruno (innominabile ai tempi di Vico) aveva canta-
to le gesta estreme. Il cacciatore Atteone titanicamente perlustra sentie-
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