MAURIZIO CAMBI
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stabilire, su nuove basi, chi avrà diritto ad abitare la «Gran città». E
l’inclusione è allargata – secondo la categoria che Nuzzo ha definito
dell’
almeno
– a tutti coloro che, in modo consapevole e non, cooperi-
no al perseguimento del «fine etico di un pacifico ordinamento razio-
nale, politico-giuridico, del mondo» (p. 316). A realizzare tale finalità
possono concorrere «le nazioni, anche le più barbare, selvagge» e tutti
coloro nei cui costumi si manifesta (
almeno
) una traccia di «un produt-
tivo religioso pudore, prima oggettivazione di una ‘vis veri’ che è rima-
sta loro sottesa e latente anche negli erramenti ferini» (p. 302). O (
alme-
no
) i segni di un sentimento religioso («di qualsiasi religione») il cui
effetto vincolante garantisce la coesione della comunità.
La «Gran città» cui si riferisce Vico – a dispetto dell’immagine evo-
cante solidità e radicamento – non è una realtà statica (un altro ossimo-
ro?). Non è un luogo ma il processo storico e i partecipanti ad esso
sono i «cittadini della storia». Alla città si può essere ammessi assicu-
rando al processo di incivilimento collettivo (
almeno
) un umile contri-
buto. Da essa si può essere esclusi a causa della sterile boria (come nel
caso dei dotti o delle nazioni). Il requisito per farne parte è la coopera-
zione. Il ‘cosmopolitismo’ di cui parla Vico (anticipando il dibattito
animato sul tema nell’Europa dell’Illuminismo) si traduce nelle concre-
te opere di ogni soggetto anche se diverso per storia e cultura. E così la
«Gran città» espande i propri confini e le proprie attività fino a supe-
rare le più ottimisticamente ireniche utopie moderne: al di là dell’uto-
pia più «larga», direbbe forse Nuzzo, teorico dei modelli ermeneutici
delle città ideali. Gli Utopiani di More operano egoisticamente per il
florido benessere (morale e materiale) della loro comunità insulare. I
Solari di Campanella vivono «alla filosofica» ma tengono tutti lontani
da una città ferma nella propria perfezione e difesa da ogni contatto
esterno da sette mura invalicabili. I Bensalemiti baconiani spiano in
incognito gli altri popoli, ‘importano’ scoperte e tecniche ma non rive-
lano a nessuno le invenzioni messe a punto nella Casa di Salomone.
Chiusi dentro le loro città, gli abitanti delle utopie godono, in modo
esclusivo, di vantaggi che però non mettono a disposizione del genere
umano. Indifferenti al processo storico che scorre fuori dalle loro isole
(avendo essi già raggiunto la perfezione) essi – come i filosofi
ociosi
o
gli eroi pieni di sé – realizzano una perfezione astratta senza mai diven-
tare «cittadini della storia». E, in questo, sono lontanissimi dagli eroi
«politici» di Vico.
M
AURIZIO
C
AMBI