MAURIZIO MARTIRANO
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tavia, non può essere correttamente inteso se non si riconosce che le
nazioni sono tutte unite «in un nuovo vincolo di cittadinanza che ha
come suo orizzonte non più lo spazio dell’umanità, ma il tempo della
storia, della civiltà, meglio dell’incivilimento umano»
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. Per questo l’usci-
ta dall’«ingens sylva» fa sì che gli uomini diventino «cittadini della sto-
ria» che si incamminano lungo la strada dell’incivilimento, tema, com’è
noto, che avrebbe avuto una larga fortuna nella filosofia civile italiana
del XIX secolo (in particolare grazie anche alle riflessioni di Cattaneo
intorno alla ‘città ideale’ che sono, a mio parere, un contributo impor-
tante proprio nella direzione di estendere la cittadinanza comune al di
fuori di uno spazio ‘cosmico’, e dunque di includere lo spazio dinamico
della storia dei soggetti ‘sovrapersonali’ quali le nazioni) e che rimanda
anche alla «natura dell’universalità dell’universalismo religioso cristia-
no». Un argomento, quest’ultimo, che, come nota opportunamente l’au-
tore, è in dissidio sia con la natura del cosmo (in quanto separa il sacro
dalla natura), sia con quell’umanità che resiste all’universalizzazione e
pone il problema dell’«altro» fuori della «respublica christiana».
Queste ultime considerazioni, se servono a Nuzzo per misurare la
distanza tra l’«universalismo cristiano» e il «cosmopolitismo», diventa-
no necessarie per introdurre il discorso di come, dal punto di vista vi-
chiano, la «cittadinanza nella storia» sia rintracciabile a partire dal livel-
lo più ‘umile’, vale a dire dalla «barbarie», che è proprio il punto nel
quale più problematicamente il XVIII secolo si è confrontato con il
cosmopolitismo in quanto il luogo nel quale si rappresenta l’«altro» che
sta fuori della «civitas». Ciò contribuisce a connotare di un senso auto-
nomo e originale l’universalismo vichiano, che si fa «cosmopolitico» sia
perché capace di guardare alla ‘salvezza civile’ di tutte le nazioni – la
quale è assicurata dalla loro comune appartenenza all’umanità (ma non
solo: cfr. pp. 309-310) – sia perché si alimenta della originale riflessio-
ne intorno alla «barbarie» e alla «città». In particolare, proprio la consi-
derazione della città come il luogo dell’umanità incivilita, così come
quello dove si insinua la «barbarie della riflessione», consente a Nuzzo
di approfondire anche il tema dei limiti dell’atteggiamento cosmopoli-
tico, efficacemente esemplificato attraverso il riferimento al giudizio
vichiano sui popoli, per alcuni dei quali vale una dichiarazione di ‘supe-
riorità’ rispetto agli altri.
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Ivi, p. 298.
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