sione di una lirica patriottica del pensiero risorgimentale, ma individua negli
scritti del critico quel «rinnovamento spirituale che connette la tradizione pie-
montese-lombarda alla storia italiana» (pp. 264-268), e in Vico, Gioberti e
Spaventa quei «numi tutelari di [una] trasformazione, che prima aveva saluta-
to l’avvento della libertà e ora riagganciava i problemi della nuova Italia ai fon-
damenti di una nobile cultura e di un profondo sentire» (p. 292).
A
LESSIA
S
COGNAMIGLIO
S
TEFANO
D
E
R
OSA
,
Vico precursore della Nuova Storia. Tre secoli di visioni geo-
temporali
, Roma, Settimo Sigillo, 2009, pp. 201.
Nel ricostruire i nuclei fondamentali che contraddistinguono lo spirito
delle «Annales», l’A. propone un confronto con i classici del passato per rin-
tracciarne significative consonanze. D’altra parte, la ricerca di illustri ispirato-
ri ha costantemente sollecitato lo stesso Le Goff e i suoi collaboratori. E del
resto, da Tucidide a Voltaire, da Chateaubriand a Michelet non è difficile
cogliere quella sensibilità comune per una visione storica non cronachistica e
che, più che penetrare, ha inteso avvolgere gli avvenimenti in contesti di tipo
economico, culturale, morale: una storia delle mentalità e dei costumi.
Se dunque la quantità di riferimenti e di possibili ‘fonti’ risulta di un certo
interesse, problematico risulta invece coinvolgere Vico in un problema assai
annoso come è quello dei ‘precursori’. In particolare, il filosofo napoletano lo
sarebbe non solo riguardo allo spirito delle «Annales» e della «Storia nuova»,
ma anche rispetto alla «Teoria delle catastrofi», a cui farò riferimento dopo.
Eppure, l’esposizione del pensiero vichiano che troviamo nel secondo capi-
tolo è per buona parte ineccepibile. Il rapporto tra filosofia e filologia costitui-
sce un momento di svolta del pensiero vichiano, e perciò di un senso della sto-
ria che rinuncia alla sua ‘inattualità’ per calarsi nella più profonda umanità, recu-
perandone le origini mai veramente perdute e i risvolti legati, all’interno di ogni
popolo, ai ‘costumi’, alle ‘leggi’, così come all’esterno alle ‘guerre’, alle ‘paci’, alle
‘alleanze’, ai ‘viaggi’, ai ‘commerzi’. Dunque, è del tutto legittimo parlare di
«consonanze vichiane
ante litteram
con la storiografia e gli studi di Febvre,
Bloch, Braudel o Le Goff basati sulla centralità della fonte documentaria nella
sua accezione più ampia, ed attenti ad una giusta considerazione degli aspetti
sociali, antropologici, economici, culturali da affiancare alla tradizione politico-
diplomatica della
histoire historisante
» (pp. 67-68). È ancora legittimo affronta-
re vichianamente «Il linguaggio originario dei miti» come un linguaggio origina-
rio e non depositario di una saggezza riposta da disvelare alla luce di una ragio-
ne trionfante; così come è corretto sostenere che «attraverso l’ingegno Vico rie-
sce a far collimare ragione comunicativa e ragione creativa» (p. 75).
RECENSIONI
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