I problemi sorgono invece a partire dal titolo del volume, inequivocabile,
e alle tante affermazioni per cui – dichiara l’A. – : «In questa nostra ricerca
intendiamo tracciare un profilo di Giambattista Vico, oltre a tutti i pensatori
precedentemente menzionati, quale precursore delle Annales, soprattutto per
quanto concerne l’immaginario» (p. 68). O quando, insistendo su questa trac-
cia, «si avanza una lettura di Giambattista Vico quale antesignano della nuova
storia» (p. 10); o quando si sostiene la tesi «di un Vico anticipatore, o almeno
ispiratore, delle posizioni teorico-scientifiche espresse nell’ambito della Teoria
delle Catastrofi» (p. 95), la quale a sua volta si ipotizza che sia a fondamento
della
Nouvelle histoire.
Partiamo da quest’ultimo riferimento. De Rosa intitola un paragrafo:
«Catastrofi: una teoria ‘vichiana’ [sic]», dove leggiamo che «se è diffusamente
riconosciuto il grande merito di Vico nell’aver valutato l’irruzione del tempo
vissuto nella storia, è altrettanto rilevante, per i nostri intendimenti, sottolinea-
re la considerazione operata dal filosofo napoletano delle diverse velocità del
tempo; delle sfasature temporali e del cambiamento di ritmi (in termini di ral-
lentamenti o accelerazioni) che hanno contraddistinto il processo di civilizza-
zione dell’umanità; una evoluzione della civiltà che, secondo Vico, deve
comunque essere coerente ai disegni divini» (p. 96). Ebbene, è sul tema della
continuità e discontinuità temporale che viene imbastito il confronto con Vico.
La Teoria delle Catastrofi prende nome da un modello che il matematico
René Thom aveva coniato negli anni ’60, fondato su elementi di topologia
applicabili ai fenomeni in cui cause continue producono effetti discontinui, che
possono essere dunque osservati e previsti nel tempo, nello spazio e nella
forma. Ebbene, secondo l’A., nell’aver contemplato una storia con velocità e
ritmi molteplici, il pensiero vichiano tende «a complessificare la storia e a man-
tenere nella debita considerazione quelli che molto tempo dopo sarebbero stati
chiamati scarti e catastrofi, che della storia costituiscono elementi irrinunciabi-
li» (p. 149). L’A. cita al riguardo il volume di Bruno Pinchard (
La raison dédou-
blée
, Paris, 1992) e lo scritto di Derrida
Della grammatologia
(tr. it. Milano,
1989), in cui il filosofo francese accostava le «regressioni catastrofiche» ai
«ricorsi di Vico» considerando che «la storia può sempre interrompere il suo
progresso (e deve anzi progredire nella regressione)» (Derrida, pp. 336-337); e
nel concludere questa sezione, l’A. sostiene con energia che «le citate notazio-
ni di Derrida, se interpretate alla luce della Teoria delle Catastrofi, ci autorizza-
no, dunque, ad affermare che ogni
ricorso
vichiano (ad esempio, un ritorno allo
stato di natura rousseauiano) – in quanto implicante una regressione, un ritor-
no al passato – possa essere assimilato ad una catastrofe» (p. 154).
È necessario a questo punto abbandonare le pagine successive del volume,
che prosegue con altre suggestioni seguendo un filo rosso che va dal XVIII al
XX secolo – evocando Proust, Joung, Ariés, Deleuze a quant’altri – per soffer-
marci invece sugli aspetti problematici che coinvolgono Vico. La questione
RECENSIONI
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