rapporto tra le parole e le cose comporta un intervento dell’ordine provviden-
ziale che ripropone tuttavia il corso delle nazioni con le sue tendenze all’inter-
no di una regolarità, nel momento in cui modifica il senso della direzione.
Ebbene, la questione del ricorso riconduce, sulla base del modello della bar-
barie delle prime genti, a quella barbarie ‘ritornata’ in epoca medievale con la
caduta dell’Impero Romano. Siamo dunque in tutt’altro contesto rispetto a
uno «stato di natura rousseauiano», che invece ripropone tematiche legate al
diritto naturale con cui Vico aveva fatto i conti abbondantemente (si veda il
rapporto con Selden, Pufendorff e Grozio).
Per quanto riguarda la Teoria delle Catastrofi, De Rosa vi ritorna quando
coglie uno «stile barocco» attribuibile alle Catastrofi, attraverso il concetto
deleuziano di
piega
. Come Deleuze considera che il Barocco produca continue
«pieghe» (metafora attraverso la quale si costituisce la modernità) diversifican-
dole e seguendo due direzioni, due infiniti, ‘come se l’infinito stesso si dislo-
casse su due piani: i ripiegamenti della materia e le pieghe nell’anima’, analo-
gamente l’essenza dell’indagine della Teoria delle catastrofi è, lo abbiamo
visto, la presa d’atto che movimenti continui determinano effetti discontinui.
Ma detto questo, mi sembra che proprio un pensatore come Deleuze, pronto
a coinvolgere il multiversum del pensiero nei suoi punti centrali di riferimen-
to – i concetti e i piani di immanenza –non avrebbe potuto che rifiutare il ter-
mine ‘precursore’. Ha invece più volte sostenuto che «su un lungo periodo,
alcuni filosofi possono creare concetti nuovi restando sullo stesso piano e pre-
supponendo la stessa immagine di un filosofo precedente che avranno ricono-
sciuto come maestro» (G. D
ELEUZE
-F. G
UATTARI
,
Che cos’è la filosofia?
(tr. it.
Torino, 2002, p. 46). Potranno esserci concetti «dello stesso gruppo», nel
senso che popolano uno stesso piano anche se lontani nel tempo e nello spa-
zio; potranno sollevarsi interrogativi se un piano possa essere considerato
‘migliore’ di un altro, rispondendo meglio alle esigenze di un’epoca, o ancora
se c’è un rapporto tra i movimenti di un’immagine del pensiero e i movimen-
ti di un’epoca. Ebbene, «tali problemi possono essere sviluppati solo rinun-
ciando al punto di vista strettamente storico del prima e del dopo e prenden-
do in considerazione il tempo della filosofia piuttosto che la storia della filoso-
fia; cioè un
tempo stratigrafico
, in cui il prima e il dopo non indicano altro che
un ordine di sovrapposizioni» (ivi, p. 47).
Perciò, e concludendo, quale che sia lo sguardo con cui affrontare il ven-
taglio di legami tra momenti tanto diversi della storia del pensiero, è probabil-
mente oggi doveroso rifuggire da un unico piano storico, salvaguardando, a
maggior ragione, i singoli momenti che soltanto in una visione complessiva
offrono a pari livello il loro contributo concettuale.
A
LESSANDRO
S
TILE
RECENSIONI
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