suo darsi nell’esperienza, nel suo farsi
nell’esperienza’» (p. 11). Di Vico «poeta
dell’alba» – secondo una felice definizio-
ne di Giuseppe Capograssi – l’A. rico-
struisce pertanto in maniera icastica ed
efficace i rapporti interpersonali e cultu-
rali con gli intellettuali napoletani, le fre-
quentazioni accademiche, oltre che le
influenze assorbite dalle letture dei libri
che Vico poteva leggere nella biblioteca
di Giuseppe Valletta.
[A. Scogn.]
17. O
RIGO
Gaetano,
D’Andrea, Vico e Spa-
venta lettori e interpreti della filosofia mo-
derna
, Roma, Bibliosofica, 2009, pp. 141.
L’A., in maniera davvero molto confusa e
attraverso un linguaggio eccessivamente
roboante cerca di proporre un confronto
tra D’Andrea, Vico e Spaventa. Punto di
partenza della riflessione è la constatazio-
ne che D’Andrea e Vico possono essere
entrambi considerati interpreti della filo-
sofia moderna e protagonisti della scena
giuridica del Settecento grazie a «due refe-
renti storico-filosofici che penetrano
fecondamente nella [loro] ricerca» (p. 79),
e cioè l’atomismo e l’ingegno inventivo.
Successivamente l’A. ripercorre i tratti
principali del pensiero di Spaventa, met-
tendone soprattutto in rilievo quelli in
comune con la filosofia di Vico:
«Spaventa non si lascia sfuggire alcunchè,
per dimostrare non solo l’originalità delle
meditazioni del filosofo napoletano, ma
altresì la precursoricità di un indirizzo
nuovo offerto dal Vico nei confronti della
medesima tradizione italiana che si arric-
chisce ulteriormente, espletando orgo-
gliosamente l’indirizzo filosofico-filologi-
co esatto dall’ingegno quando è esaltato
come verace potenza creativa» (p. 42).
[A. Scogn.]
18. P
EREIRA
F
ILHO
Antonio J.,
O riso de
Ulisses: Sabedoria e Barbárie em Vico
, in
História e Barbárie
, orgs. A. C. dos
Santos, C. Pires, I. Helfer, Aracaju, UFS,
2009, pp. 76-89.
L’A. inserisce la riflessione di Vico su
sapienza e barbarie nel contesto econo-
mico del tempo, quando l’espansione
mercantile aveva rivelato la fragilità delle
istituzioni feudali e il contatto con il Nuo-
vo Mondo aveva mostrato la profonda
diversità dei costumi. Di qui la scoperta
dell’ ‘altro’, del ‘selvaggio’, e la varietà di
prospettive in cui inquadrare questo
fenomeno. Vico prende le distanze tanto
dal modello contrattualistico hobbesiano
quanto da quello sostanzialistico proprio
dei teorici del diritto naturale, accentuan-
do la stretta relazione tra ‘natura umana’
e situazione concreta, storica, temporale,
dove per
natura delle cose
intende l’idea
di
genesi storica
o
nascimento
, e dove, spi-
nozianamente, ‘l’ordine delle idee deve
procedere secondo l’ordine delle cose’.
Analogamente, Vico non può non rigetta-
re l’immagine cartesiana di una mente
‘pura’ nel momento in cui difende l’idea
di una mente ‘incarnata’ nel tempo e
nella storia, «luogo di rotture e differenze
espresse nell’attività simbolica che inau-
gura il mondo della
prassi
, o mondo uma-
no» (p. 80). Di qui la posizione vichiana
rispetto al mito, considerato come prima
forma di linguaggio, e dunque in antitesi
sia a una forma di contrattualismo origi-
nario della società, sia all’atto creativo di
isolati legislatori. Esiste invece uno svi-
luppo, irregolare e apparentemente ano-
malo, che costituisce il corso delle nazio-
ni, nel quale vanno individuati i momenti
cruciali di passaggio. Uno di questi può
essere esemplificato dal celebre Canto IX
dell’
Odissea
, che vede contrapposti Poli-
femo e Ulisse; ebbene, nell’ottica vichia-
na siamo di fronte a «due mentalità o ‘or-
AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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