GENESI E DECADENZA DEL LINGUAGGIO
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essi sono stati accettati dalla comunità. In questo ambito ciò che è deci-
sivo non è la loro chiarezza sul piano epistemologico e forse nemmeno
l’efficacia del loro impiego per comunicare determinati stati emotivo-
affettivi, ma la loro familiarità e consuetudine nei contesti intersogget-
tivi
7
. Quanto alla storicità delle parole, d’altronde, essa non è soltanto
la cifra che contrassegna il linguaggio comune, ma anche lo statuto dei
segni utilizzati in matematica: Malebranche è ben consapevole, ad
esempio, del fatto che Viète e Descartes hanno perfezionato l’algebra e
l’analisi e che questi cambiamenti riguardano anche i simboli con cui si
esprimono gli oggetti matematici e i loro rapporti
8
.
Pur accennando alla profondità storica che celano le parole,
Malebranche non indaga tuttavia la storicità del linguaggio; sfiora il
punto chiave della questione, vale a dire il consolidarsi delle parole
attraverso la pratica, coglie l’origine popolare dei termini che utilizzia-
mo ordinariamente
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, ma non tematizza autenticamente questo argo-
mento. All’opposto del pensatore francese, Vico comprende a fondo il
problema dell’origine del linguaggio – nella sua intima correlazione con
la nascita delle ‘lettere’, dei costumi umani e delle civiltà
10
– e dedica a
7
Su questo tema sono interessanti alcune riflessioni di Blumenberg: «Una volta usci-
to dalla regolarità in cui il suo comportamento era determinato dall’ambiente, l’animale
ominide ha a che fare con l’inefficacia degli indicatori e delle determinanti del suo com-
portamento, con l’indeterminatezza di ciò che le componenti della sua realtà ‘significano’
per lui. Egli reagisce alla scomparsa di significati rigorosi definendo delle significatività
[…]. D’altra parte c’è anche la concezione che vede nelle esclamazioni fonetico-linguis-
tiche in risposta al perturbante e allo sgradevole, una fonte di nomi divini che eventual-
mente può essere ancora ricostruita etimologicamente. Forse non è importante decidere
tra le tematizzazioni di tipo più estatico oppure più normalizzante – importante, mi sem-
bra, è il fatto che anche la più piccola invenzione ha bisogno di essere accettata, per non
sparire di nuovo […]. Ogni nome che viene accettato, ogni allacciamento di nomi in una
rete grazie alla quale il loro carattere casuale sembra annullarsi, ogni storia che presenta
i portatori dei nomi come esseri dotati di specifiche caratteristiche, arricchiscono la deter-
minatezza contro lo sfondo di indeterminatezza» [H. B
LUMENBERG
,
Elaborazione del
mito
(
Arbeit am Mythos
, Frankfurt a. M., 1979), tr. it. Bologna, 1991, p. 213].
8
RV
, III, I, III, § IV,
OC
I 402-403;
Œuvres
, I, p. 310 (tr. it. cit., p. 293);
ibid.
, IV,
XI, § II,
OC
II 89;
Œuvres
, I, p. 453 (tr. it. cit., pp. 424-425);
ibid.
, V, II,
OC
II, 139;
Œuvres
, I, p. 499 (tr. it. cit., p. 468).
9
Inoltre, sempre nella
Ricerca della verità
, l’Oratoriano stigmatizza le conversazioni
tra i bambini e le loro nutrici, in quanto esse sono veicolo di superstizioni e dei pregiu-
dizi legati all’infanzia (
ibid.
, II, I, ch. VIII, § I,
Œuvres
, I, pp. 194-195; tr. it. cit., p. 184).
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Come scrive Cassirer, la questione dell’origine del linguaggio equivale, per Vico,
«[…] alla questione dell’origine della ‘letteratura’ e delle scienze in generale» [E.
1...,7,8,9,10,11,12,13,14,15,16 18,19,20,21,22,23,24,25,26,27,...152