RAFFAELE CARBONE
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idee della Ragione sembra sottrarsi alle condizioni abituali di ogni di-
scorso, e in particolare alla successione secondo un prima e un poi che
caratterizza l’espressione orale o scritta di un concetto. La risposta
della Ragione che io consulto, inoltre, è una parola interna alla mia
mente che non è sempre perfettamente rappresentata dalla parola voca-
le o dalla sua traccia scritta. «Io trovo che la mia parola non è sempre
sul foglio come io l’ho nella mente», scrive Malebranche a Lamy
60
. Il
discorso scritto che non intende blandire i sensi o l’immaginazione, ma
che è capace di ristabilire la funzione propria del linguaggio, esprime
dunque la tensione, gli sforzi incessanti che mirano a tradurre la paro-
la interiore – i contenuti oggettivi e normativi della Ragione in materia
di metafisica e di morale – nel tempo del linguaggio umano e nello spa-
zio della scrittura. I colloqui malebranchiani sono essi stessi la testimo-
nianza vivente di un lavoro di rettificazione, di chiarificazione delle
parole affinché esse possano di volta in volta meglio rappresentare le
idee pure contenute e interrelate nello spazio onto-assiologico della Ra-
gione universale.
La distanza tra la parola pensata nella mente e quella pronunciata o
scritta era stata rilevata ancora da Agostino nel
De Trinitate
: il pensiero
che si è costituito a partire da ciò che noi sappiamo è la parola che noi
diciamo nel nostro cuore: questa parola non è né greca né latina né è
proprietà di un’altra lingua; nondimeno, quando occorre farla conosce-
re a coloro con cui conversiamo, ricorriamo ad un segno per esprimer-
la
61
. La parola che risuona all’esterno è allora il segno del verbo che
splende all’interno («
quod intus lucet
») e che effettivamente merita la
denominazione di parola («
verbi competit nomen
»)
62
. In Agostino la
60
«Je trouve que ma parole n’est pas toujours sur le papier telle que je l’ai dans l’es-
prit» (N. M
ALEBRANCHE
,
Lettre
au R. P. Lamy, 18 janvier 1688,
OC
XVIII, 476). Nella
conclusione del
De magistro
, Adeodato dichiara al suo interlocutore, Agostino, che egli
ha imparato, grazie alle sue parole, che l’uomo con le parole è solo sollecitato ad
apprendere e che attraverso il linguaggio si esprime soltanto una piccola parte del pen-
siero di chi parla (A
GOSTINO
,
De magistro/Il Maestro
, cit., XIII, 46, pp. 1754-1755).
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«Formata quippe cogitatio ab ea re quam scimus, verbum est quod in corde dici-
mus; quod nec graecum est, nec latinum, nec linguae alicuis alterius; sed cum id opus
est in eorum quibus loquimur perferre notitiam, aliquod signum quo significetur assu-
mitur» (A
GOSTINO
,
De Trinitate
, XV, 10, 19, a cura di G. Beschin, Roma, 1973, , p.
651). Lo stesso Malebranche pensa che «le Verbe éternel parle à toutes les nations le
même langage, aux Chinois & aux Tartares comme aux François & aux Espagnols
[…]» (
EMR
, III, § IV,
OC
XII, 65;
Œuvres
, II, p. 702; tr.. it. cit., p. 125).
62
A
GOSTINO
,
De Trinitate
, cit., XV, 11, 20, p. 653.
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